La “strage delle rosette”: a Trieste panetterie dimezzate

In una decina d’anni i negozi cittadini sono passati da 115 a una quarantina. Il presidente onorario dei panificatori lamenta la concorrenza slovena e i precotti
20071130 - ROMA - FIN - INFLAZIONE: SALE A 2,4% A NOVEMBRE, MASSIMO DA GIUGNO 2004. VOLANO ALIMENTARI (+3,7), CON PUNTE PANE (12,4) E PASTA (7,7). L'interno di un forno a Boscotrecase (Napoli), in una immagine del 19 ottobre 2007. Volano i prezzi degli alimentari e in particolare del pane, con una impennata del 12,4% e quelli dei carburanti e di tutto il comparto energetico. Questo il quadro che emerge dai dati resi noti oggi dall'Istat che ha comunicato la stima provvisoria dell'inflazione salita al 2,4% a novembre. La spinta maggiore e' arrivata dal comparto dei beni che ha registrato aumenti del 2,5% tendenziale contro il 2% di ottobre. In particolare i prezzi degli alimentari sono saliti del 3,7% su base annua contro il +3,4% di ottobre. Spicca l'aumento di pane e cereali (complessivamente +7,1%) con un aumento addirittura del 12,4% su base annua per il pane e del 7,7% per la pasta. ANSA/ARCHIVIO/CIRO FUSCO/DRN
20071130 - ROMA - FIN - INFLAZIONE: SALE A 2,4% A NOVEMBRE, MASSIMO DA GIUGNO 2004. VOLANO ALIMENTARI (+3,7), CON PUNTE PANE (12,4) E PASTA (7,7). L'interno di un forno a Boscotrecase (Napoli), in una immagine del 19 ottobre 2007. Volano i prezzi degli alimentari e in particolare del pane, con una impennata del 12,4% e quelli dei carburanti e di tutto il comparto energetico. Questo il quadro che emerge dai dati resi noti oggi dall'Istat che ha comunicato la stima provvisoria dell'inflazione salita al 2,4% a novembre. La spinta maggiore e' arrivata dal comparto dei beni che ha registrato aumenti del 2,5% tendenziale contro il 2% di ottobre. In particolare i prezzi degli alimentari sono saliti del 3,7% su base annua contro il +3,4% di ottobre. Spicca l'aumento di pane e cereali (complessivamente +7,1%) con un aumento addirittura del 12,4% su base annua per il pane e del 7,7% per la pasta. ANSA/ARCHIVIO/CIRO FUSCO/DRN

TRIESTE C’era una volta il peck. E c’è ancora, ma ridimensionato, conglobato, restaurato. Diverso, soprattutto. Perchè se una volta bastava sfornare bighette e rosette fresche, oggi le panetterie a Trieste sono alle prese con la peggior crisi dall’ultimo dopoguerra in qua e hanno dovuto differenziare l’attività. Basti una cifra: in una decina d’anni le botteghe addette a vendere in città l’alimento più basico e prezioso sono scese da 115 a una quarantina, appena. Un’ecatombe, con motivazioni di vario tipo.

«Quella cifra è vera, la confermo - interviene Edvino Jerian, triestino, presidente onorario della federazione italiana panificatori - anche se i negozi dovrebbero essere 45, ma conta poco. Vero è che tra accorpamenti e chiusure è stato perso più del 50% della rete di vendita. I motivi? Indubbiamente la presenza nei supermercati dei prodotti della panificazione pesa molto. Non è tanto il basso prezzo, inferiore a quello delle rivendite, a incidere ma il fatto che tutte le catene si rivolgono alla produzione slovena. Alla rete distributiva viene a costare molto molto meno e ha il vantaggio che se uno viene a fare la spesa prende nello stesso posto anche il pane».

Il fenomeno che ha preso più piede, soprattutto nei low-cost, è quello legato ai cosiddetti precotti. Baguette e panini vari arrivano congelati dopo una prima cottura e tornano in forno. L’effetto è quello, invero gradevole, del pane caldo ma Jerian storce il naso. «Nei fatti non si sa da dove arrivi il pane precotto. La tracciabilità è tale solo per le autorità sanitarie ma non per il pubblico. Per quello che ne sappiamo arriva in massima parte dall’Est europeo, dove i costi sono irrisori. Vediamo la differenza: nel pane fatto in giornata, pane fresco, lo porto in forno a 240 gradi e lo vendo. Fine. Nel precotto devo interrompere la cottura, portarlo a - 35 gradi, conservarlo sottozero, trasportarlo, riconservarlo, riaprire il forno per completarlo, con cottura unica».

Chi non si rassegna, e porta addirittura con orgoglio la divisa dei vecchi peck del Novecento è Marco Rodriguez, nella sua panetteria Romy di via Torino. «Mi dicono che quattro euro al chilo sono troppi, ma hanno idea del lavoro e della preparazione che comporta un singolo panino? Io uso l’impastatrice, ma i panini li faccio rigorosamente a mano, comprese le rosette che una volta si chiamavano kaiser... Comunque dietro l’estinzione di una categoria c’è sempre un perchè. Nel nostro caso è mancata l’impronta affettiva, una certa cultura, ma è un fenomeno che interessa tutta l’Europa. Ero a Vienna recentemente, e anche lì è lo stesso. Detto per inciso: non conviene più fare il pane, i costi sono troppo alti. Le panetterie, compresa la mia, si mantengono dando vita ad altre attività collaterali di ristorazione nel negozio».

Anche la contrazione dei consumi ha avuto il suo peso. «La crisi ha inciso - ammette Jerian - e, si guardi bene, non riguarda solo il pane ma anche un altro alimento fondamentale come il latte. Il calo si avverte meno, nel settore pasticceria, anche perchè quello è sempre stato un genere più voluttuario, da regali o festività...».

Nella congiuntura attuale, pare però che proprio dai dolci e dalla loro tipicità possano venir fuori segnali di ripresa. «Me ne sono accorto a Natale - sottolinea Jerian - quando ho annotato un certo recupero nella sensibilità verso i prodotti tipici locali, cui ho sempre creduto molto. Prodotti come pinza, putizza e presnitz vanno forte, complice anche la richiesta di un turismo in netta crescita che cerca cose semplici, che si legano al territorio in termini culturali. Per quanto riguarda il pane, mi limito a dire che a livello internazionale c’è una fortissima crescita delle panetterie artigiane nei paesi dove non esistevano, come ad esempio quelli anglossassoni, con Australia e Inghilterra in testa. Curiosamente in Italia stiamo seguendo un percorso inverso, e viene da domandarsi perchè, visto che gli artigiani stranieri vengono proprio da noi per imparare».

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