La strada in salita delle donne over 50 a cui la pandemia ha rubato il lavoro: le storie di quattro triestine

Secondo i dati Istat il 70% dei posti perduti dall’inizio dell’emergenza sono femminili. E il fattore età costituisce un problema ulteriore. Le storie di Donata e Ondina, Donatella e Marina, sono le storie di chi è stata espulsa dal mondo del lavoro a 50 anni o più, dall’oggi al domani, oppure di chi è appesa, da mesi, all’andamento della situazione epidemiologica, e aspetta con pazienza e pragmatismo di capire da quale colore ripartire. (Testi di Elisa Coloni; Speciale web a cura di Elisa Lenarduzzi)
  

TRIESTE Licenziate, cassintegrate, partite Iva rimaste senza lavoro: la loro vita è appesa a un virus. Eppure riescono a tenere i nervi saldi e sono tostissime, energiche, ottimiste e sorprendentemente capaci di reinventarsi con la forza della determinazione e un pizzico di ingegno. È la carica delle cinquantenni triestine, goriziane, monfalconesi; un esercito di lavoratrici colpite duramente dagli effetti della pandemia, che in questi mesi devono fare i conti con uno degli spettri più temibili per chiunque: l’incertezza del futuro e del proprio posto di lavoro, dello stipendio, della possibilità di esprimere professionalità, esperienza e ambizioni.

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Se per migliaia di persone in regione, donne e uomini, di qualsiasi età, il domani ha un sapore amaro, ci sono alcuni segmenti della popolazione per i quali la crisi pesa di più: le cinquantenni sono tra questi. Lavoratrici difficilmente ricollocabili quando rimangono disoccupate, spesso troppo avanti con gli anni per ripartire da zero in nuovi settori, ma non ancora vicine alla pensione. Lavoratrici che in molti casi hanno alle spalle percorsi non lineari o che magari hanno scelto impieghi part-time per coniugare carriera e famiglia. Lavoratrici che operano in settori nei quali la presenza femminile è forte e che sono tra i più in affanno a causa della crisi legata all’epidemia da Covid 19: il turismo, i congressi, la ristorazione, le palestre, l’arte, l’associazionismo sportivo e culturale. Comparti «trascurati», considerati «di serie b», commenta qualcuna delle dirette interessate; categorie per le quali sono state individuate «soluzioni deboli o comunque tardive».

I dati (Istat) parlano chiaro: il 70% dei posti persi dall’inizio della pandemia sono femminili. Nel mese di dicembre 2020, dei 101mila contratti andati in fumo, 99mila appartenevano a lavoratrici. A pagare il conto più salato della crisi economica e occupazione conseguente alla crisi sanitaria sono stati infatti gli autonomi, i dipendenti a tempo determinato e, soprattutto, le donne.

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Come racconta la vicenda di Marina Fabris, receptionist dell’hotel Filoxenia licenziata il 28 febbraio 2020 con una raccomandata. O quella di Donatella Bolognini: doppio lavoro e doppia fregatura, operando part-time nel turismo e part-time in palestra. Oppure quella di Ondina Brusi, 40 anni esatti nel mondo delle agenzie di viaggio, tra le poche in città a occuparsi da lungo tempo di tour per grandi gruppi e quindi tra le più penalizzate. O, ancora, come quella di Donata Ursini, anche in questo caso una beffa al quadrato, vista la doppia occupazione in un negozio di souvenir e come guida turistica: lavorare senza turisti in questo caso è un po’ come tentare di fare il pane senza farina.

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Ma non demordono. Le senti e ti rendi conto che guardano al domani lucide, tirano avanti come treni. Chi con più difficoltà, chi meno, ma resistono. E tra cig, Naspi, lavoretti, corsi, aggiornamenti, certificazioni e tante nuove idee, le donne tra i cinquanta e i sessanta sanno mettersi in gioco. Non senza preoccupazione, non senza delusione, ma con sana forza d’animo, perché tanto, dicono, «abbattersi non porta a nulla. Il bicchiere è meglio guardarlo mezzo pieno, ma non per filosofia: per praticità».

Le storie di Donata e Ondina, Donatella e Marina, sono le storie di chi è stata espulsa dal mondo del lavoro a 50 anni o più, dall’oggi al domani, oppure di chi è appesa, da mesi, all’andamento della situazione epidemiologica, e aspetta con pazienza e pragmatismo di capire da quale colore ripartire. 

Monica Fabris
Monica Fabris

«No alle lacrime, conta solo rimboccarsi le maniche»

Licenziata con una raccomandata il 28 febbraio 2020, a distanza di pochi giorni dallo stop alle gite scolastiche. Rimasta in strada così, dopo una doccia fredda che non si aspettava di certo. Monica Fabris, 48 anni, triestina, lavorava come receptionist all’hotel Filoxenia da due anni, ma ha alle spalle un percorso professionale lungo 17 anni, in diverse strutture ricettive a Milano, dove ha vissuto per lungo periodo, e nella sua Trieste. «Sono il perfetto esempio di disoccupata da Covid 19», dice, raccontando con grinta e sorriso la sua storia, seppure molto amara. «Mi hanno licenziata in tronco con una raccomandata - afferma - perché la proprietà ha deciso di chiudere l’hotel, poi venduto a un’altra società. Sono rimasta letteralmente basita».

Passato lo shock iniziale, la decisione di rimettersi in gioco con ogni mezzo per non perdere un minuto dei mesi a disposizione. «Ho fatto di tutto - racconta Fabris: un corso per operatore fiscale per le dichiarazioni dei redditi, uno per gestione di paghe e contributi; ho ottenuto le certificazioni che mi mancavano per le lingue che parlo, inglese, tedesco e russo, e ho persino preso il patentino per lavorare come istruttrice di pilates. Oltre ad aver inviato curriculum ovunque, ovviamente. Il problema - continua - è che il turismo è morto dal marzo 2020 e, finché non riparte, non ci saranno grandi opportunità. Fortunatamente ho una buona Naspi, quindi riesco a vivere, ma non durerà per sempre. Al momento quindi rimango disoccupata, anche se qualcosa di buono si sta finalmente concretizzando e mi auguro di trovare presto una nuova occupazione, sempre nel settore alberghiero, che è la mia grande passione».

Come reagire a un simile momento? «Piangere non serve, conta solo rimboccarsi le maniche, almeno provarci. Perché o ci si tira su da soli, o si rimane a terra, che è peggio. Certo, forse se avessi un figlio sarebbe diverso, più difficile, ma comunque credo che la forza d’animo e la voglia di migliorarsi sempre sia l’unica risposta a un momento duro come questo» 

Donata Ursini
Donata Ursini

«Il negozio a un tratto vuoto Così ci siamo reinventati»

Guida turistica e titolare di un negozio di souvenir (per turisti): per Donata Ursini, 60 anni, non può che essere un anno nero, lavorativamente parlando. «Fino all’inizio del 2020 andava tutto bene, anzi, benissimo, con la città finalmente aperta e attrezzata per viaggiatori e vacanzieri. Pensi che il 5 marzo, lo ricordo ancora perché il numero mi aveva colpita, a Trieste avevamo 20 gruppi. Poi - racconta - tutto d’un tratto, questo dramma, e il blocco di tutto: viaggi, visite guidate, tour. È stato un colpo durissimo». Donata Ursini è titolare di “Tipicamente triestino”, negozio di oggettistica in via Einaudi che condensa l’orgoglio triestino in tazze, cartoline, t-shirt, peluche.

«Oggi vendiamo anche e soprattutto mascherine - aggiunge -. Ci siamo dovuti ripensare e i dispositivi di protezione funzionano. Così come i prodotti enogastronomici locali: non li vendevamo prima della pandemia, ma poi abbiamo dovuto trovare qualcosa di interessante da inserire nell’offerta del negozio, qualcosa che potesse interessare ai residenti, oltre che ai visitatori, non essendoci turisti ni giro. Ovvio - aggiunge la negoziante - che non si può far stare in piedi un’attività così: la situazione deve sbloccarsi, i turisti devono tornare, altrimenti sarà difficile ripartire. La mia speranza che in un tempo breve, ragionevole, si possa tornare alla normalità».

Oltre al negozio, Ursini lavora per l’associazione Nord Est Guide e, pure su questo fronte, negli ultimi 12 mesi sono stati solo dolori. «Anche in questo caso - racconta - dopo un primo momento di paura e tanti interrogativi, con le colleghe ci siamo dette che era necessario trovare delle soluzioni nuove. Così ci siamo inventate delle iniziative rivolte ai nostri concittadini: passeggiate tematiche in città, come “I palazzi raccontano”, sulla storia di alcuni angoli di Trieste poco noti, o sulla letteratura attraverso la psicanalisi. Solo così si resta a galla. Chi lavora nel turismo sa che ci sono alti e bassi, e che abbattersi non serve, ma abbiamo anche bisogno di sostegno: solo un mese fa sono arrivati dal Mibact dei piccoli ristori, ma bisognerebbe - conclude - provare a fare di più».

Ondina Brusi
Ondina Brusi

Niente viaggi da organizzare resta la “cassa” a zero ore

Quarant’anni trascorsi nel mondo delle agenzie di viaggi a Trieste. Una vita alle prese con tour operator, pullman, prenotazioni di hotel e ristoranti, voli, passaporti, visti, e il fascino di mille destinazioni. Poi, nel 2020, un virus che blocca un intero comparto. Non pensava proprio di imbattersi in tutto questo a 62 anni, Ondina Brusi, triestina, dipendente di una agenzia di viaggi cittadina, e da marzo 2020 in cassa integrazione a zero ore. La sua situazione è quella che accomuna la maggioranza degli operatori del settore. Anche se per lei, specializzata nell’organizzazione di viaggi di gruppo in Italia e in Europa (tra le 20 e le 50 persone), è andata pure peggio.

«Si sommano diversi fattori - spiega -: innanzitutto le restrizioni sugli spostamenti e poi la difficoltà di coordinare un viaggio per decine di persone insieme: posti in pullman, visite contingentate ai siti di interesse, molti rimasti a lungo chiusi, ristoranti (ora aperti solo a pranzo) dalla capienza ovviamente limitata. Per chi si occupa di turisti individuali c’è stato un po’ di lavoro in estate, perché si tratta di un target diverso, con altre esigenze e tempistiche, ma per i viaggi organizzati di gruppo è un’altra storia: dopo un piccolo spiraglio, a settembre-ottobre, abbiamo dovuto constatare che non c’erano le condizioni per lavorare». Il punto fondamentale per chi opera in questo comparto, infatti, è la programmazione, che in questo momento appare come una strada impraticabile.

«Per tornare a lavorare con i gruppi, anche solo con le visite in regione - sottolinea l’agente di viaggi - sarebbe necessario avere la certezza di essere in zona bianca, o gialla, per 3-4 mesi continuativamente, ma ora garanzie non ci sono. Alcune colleghe stanno quindi lavorando, seppure poche ore alla settimana, mentre io - continua - sono a casa. Non è colpa di nessuno, non è un periodo facile, bisogna solo sperare che la situazione evolva al meglio e che si torni presto alla normalità». Nel frattempo, per lei è scattata la cassa integrazione: «Fortunatamente c’è quella, anche se perdo circa il 40% del mio stipendio, oltre a tredicesima e quattordicesima».

Donatella Bolognini
Donatella Bolognini

«Turismo e sport, bloccate entrambe le mie attività»

Doppio lavoro e doppia bastonata, per Donatella Bolognini, 50 anni, nata a Osimo (Ancona), ma dagli anni Novanta a Trieste, dove si è laureata a Interpreti e traduttori, e dove ha deciso di rimanere. Su di lei, che lavora part-time come segretaria dell’Associazione regionale Guide turistiche del Fvg e per il resto del tempo come insegnante di danze africane, la crisi si è accanita due volte, essendo entrambi i settori - turismo e palestre - in ginocchio da mesi. Nonostante la difficoltà del monento, prova a riderci su: «Di due lavori non se n’è salvato uno - scherza -. Sono stata fregata due volte in un colpo solo». Come segretaria dell’assocazione Guide turistiche, di cui è l’unica dipendente, prima dell’inizio dell’epidemia era impegnata sei ore al giorno, mentre oggi sono sei ore alla settimana, ed è in cassa integrazione da aprile.

«Fortunamente c’è la cassa - commenta - ma non è la stessa cosa. Il turismo è un settore devastato e, fino a quando non ci saranno cambiamenti sarà dura». Se su questo fronte la cose vanno male, meglio non vanno sull’altro. «Le palestre sono chiuse - spiega Bolognini - quindi siamo fermi. Io presiedo l’associazione “Officine artistiche”, che promuove corsi di danza e percussioni africane, oltre a lezioni di avviamento alla musica per bambini. Prima utilizzavamo la palestra della succursale del Carducci e ovviamente abbiamo chiuso con il lockdown. In estate siamo riusciti a organizzare qualcosa all’aperto e in settembre - continua - abbiamo deciso di spostarci in un nuovo spazio, al D-Sotto, visto che sembrava che la situazione fosse migliorata: è durata un mese, poi stop di nuovo».

E oggi? «Qualche corso online, di stretching al mattino - spiega - ma non molto di più. Non resta che sperare che la situazione migliori e che arrivi presto la bella stagione, per spostarsi all’aperto. Auspico inoltre che vi sia maggiore attenzione da parte delle Istituzioni per tutti i settori: turismo e sport non sono di serie b, vanno tutelati quanto gli altri. E poi ricordo che sono ambiti che occupano molte donne, colpite tanto da questa crisi. Ci aiuta la nostra capacità di reinventarci, anche nei momenti bui». — 

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