La negligenza che uccide un ragazzo
La morte di un ragazzo di 18 anni durante un percorso di formazione è inaccettabile e non basta ricoprirne di lacrime il ricordo per onorarne il sacrificio. In questa regione l’alternanza scuola-lavoro e i percorsi di professionalizzazione sono da molto tempo uno degli elementi più forti per colmare il deficit fra domanda e offerta. È radicata la convinzione che il solo ciclo di studi non basti a soddisfare il pronto utilizzo dei giovani tecnici che servono a servizi e manifattura. Non bisogna essere però troppo sbrigativi né dare per certo che tutti siano in grado di reggere una possente accelerazione nei vari passaggi.
La scuola è necessaria, non è una fastidiosa fase intermedia fra fanciullezza e maturità. L’incidente sul lavoro ci impone di rimettere in fila alcuni punti chiave. La prima e fondamentale formazione deve avvenire nelle aule e nei laboratori, dove la vigilanza e la cautela sono rodate e, salvo casi rarissimi, non ha condotto a eventi tanto drammatici. Dunque, è negli istituti che bisogna investire affinché si costruiscano competenze ed esperienze che consegnino alle fabbriche tecnici capaci sì, ma consapevoli dei rischi che si corrono quando si migra da un ambiente protetto a uno reale e competitivo.
Le aziende, poi, sono tutte egualmente attrezzate culturalmente a gestire stage e inserimenti temporanei? I sindacati, che coltivano un atteggiamento pregiudiziale contro l’alternanza, portano testimonianza di studenti impiegati come lavoratori e ammessi in ambienti che sono potenzialmente pericolosi anche per dipendenti prudenti e formati. Hanno ragione a coltivare il sospetto che, a fronte di un formale rispetto delle regole, vi siano molti che le considerano inutile burocrazia. Lorenzo è morto.
È il Friuli Venezia Giulia a essere in lutto perché nel nostro efficientismo si è insinuato un errore imperdonabile. Quale? Dove? Abbiamo il dovere di capirlo in fretta.
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