La mosca che toglie il sonno ai produttori di extravergine
TRIESTE No, non è la Xylella, il batterio killer che distrusse il 50% del prodotto nazionale nel 2014. Ma gli olivicoltori di Trieste e della regione, al riparo da un nemico circoscritto alla Puglia (non manca, per totale sicurezza, il costante monitoraggio dell'Ersa), si ritrovano davanti, una volta ancora, il loro incubo, la Batrocera oleae, la mosca olearia. Quest'anno inciderà non poco sulla qualità di una stagione che al contrario, sul fronte della quantità, promette di essere particolarmente fortunata.
Produzione di nicchia, quella dell'olio del territorio. Ma, grazie alla presenza di due tra le migliori dieci-quindici varietà mondiali, Bianchera e Gorgazzo, i complimenti spesso si sprecano. Mosca permettendo. «Questo insetto fa gli stessi danni del verme nelle ciliegie - esemplifica Ennio Scarbolo, tecnico dell'Ersa -. Concretamente, tende ad alzare l'acidità dell'olio oltre i limiti fissati per le definizione extravergine. Evidentemente un guaio». La raccolta delle olive inizia questo fine settimana nei circa 600 ettari del Fvg, di cui 400 in piena produzione e 200 in allevamento (le attese variano tra i 10 e i 15 anni, ben oltre i tempi della vite, non più di un triennio). L'Ersa, con un accurato controllo nelle sue 35 stazioni territoriali, informa settimanalmente nel suo sito sullo stato delle piante. «Non come il 2014, ma anche il 2016, è un anno di mosche - conferma Scarbolo -, in particolare a Muggia. Se nelle zone interne della regione le generazioni estive dell'insetto sono infatti due, al massimo tre, nel triestino si arriva fino a quattro. Il motivo? Oltre i 30 gradi la mosca non depone la uova ma a Trieste, specie la sera e in prossimità del mare, le temperature calano. E la sua presenza si moltiplica».
Combattute soprattutto con esche proteiche e trattamenti larvicidi (senza conseguenze sul prodotto finale), le mosche non incideranno in ogni caso sulla quantità. «Grazie a precipitazioni e temperature che, a fine maggio, furono favorevoli alla fioritura e alla trasformazione in frutto - spiega ancora il tecnico dell'Ersa -, ci aspettiamo il raddoppio rispetto al 2015: da 7.500-8.000 quintali a 15.000. Con una resa media che va dal 10 al 14% stimiamo una produzione di circa 1.500-2.000 quintali di olio. Se ci arriviamo, sarebbe un record».
Nonostante la mosca, la percentuale di extravergine resterà altissima, «attorno al 90%, un dato superiore a quello di ogni altra regione italiana». Tra l'altro con percentuali di acidità (0,1% contro il tetto dello 0,8%) molto basse. Quello regionale è dunque un olio prelibato, «merito appunto della presenza in ciascun impianto per oltre il 50% del totale di olivi di Bianchera, diffusa soprattutto a Trieste, e di Gorgazzo, varietà autoctone di alta qualità per la capacità di accumulare acido oleico».
Il miglior olio Fvg? «Non le monoqualità, spesso squilibrate, ma un mix fatto dal 30 al 60% di Bianchera, Gorgazzo e un po’ di Leccino». Il confronto con Toscana, Umbria e Puglia? «I produttori del Centro-Sud sono i primi a farci i complimenti. Dopo di che, certo, non abbiamo i loro numeri: solo Val d'Aosta e Piemonte ci stanno dietro. Il problema principale è che ci mancano i terreni, già occupati dalla vite e altre colture».
In Fvg a coltivare olio sono 800 aziende agricole. La quasi totalità lo fa però esclusivamente per il consumo familiare e di qualche amico. Solo 50 imprese, per lo più viticoltori interessati a differenziare le produzioni, puntano anche sulla vendita confezionando l'olio in bottiglie da mezzo litro, solitamente con l'etichetta del proprio vino. Sono poche ma, complessivamente, pesano per un terzo della produzione regionale. I prezzi dell'olio confezionato? Dai 15 a 20 euro al litro. Di queste 50 aziende un terzo operano in provincia di Trieste, a Muggia, San Dorligo e in costiera. Il resto si trova in Friuli centrale e nei Colli orientali.
Una tradizione recente. L’olivicoltura fu importata dai romani, prima di scomparire in era fascista. Il rilancio risale alla fine degli anni Ottanta, quando un progetto dell'Ersa incentivò la produzione pure nel Goriziano e nel Pordenonese. Il futuro? «Premesso che la pianura non si presta alla coltivazione dell'olio, causa rigidità degli inverni e piogge, la provincia di Udine ha superato Trieste per quantitativi sia di ettari che di produzione e il gap è destinato ad allargarsi - fa sapere Scarbolo -. È una questione di disponibilità di territorio. In Carso c'è la bora e poi non si riuscirebbe a meccanizzare alcunché. A Muggia, invece, almeno un centinaio di ettari li si potrebbe recuperare». Riassumendo, «potremo aggiungere in tutta la regione non oltre 2-3mila ettari di ulivo, ma l'incremento, al momento, è di non più 20-30 all'anno».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo