La miseria nera di chi cerca cibo nei cassonetti
TRIESTE Scrivo queste righe sotto l’urto di un trauma, perché sto guardando una foto e mi si stringe il cuore: tre italiani, oltre la mezza età, ripresi di schiena, curvi su un cassonetto, che rovistano in cerca di cibo. Due uomini e una donna. Cercano prodotti scaduti, buttati via da qualche famiglia che andava a comprare prodotti nuovi al supermercato lì vicino. Tutti abbiamo visto gente affamata pescare con le mani nei cassonetti, è una scena non infrequente, ma si trattava d’immigrati e, pur se questa reazione non è umana né cristiana, pensavamo che erano clandestini, non inseriti, prima o poi si sarebbero inseriti e con l’inserimento avrebbero smesso di cercare cibo tra le immondizie. Non era così, naturalmente, la situazione era più grave, tra di noi c’era quella gente che aveva fame, e c’è ancora. Invece di veder risolto quel problema, vediamo ora che se ne aggiunge un altro: siamo “noi” che abbiamo fame e non abbiamo cibo, siamo noi che affondiamo le mani tra le immondizie per sentire con le dita cibo commestibile, resti di pizza, pane vecchio, confezioni scadute ma utilizzabili.
Succede nella mia città, Padova, che un tempo con Verona, Treviso, Udine, Trieste, Trento, formava l‘area del maggior benessere del mondo. Ognuna di queste città produceva ed esportava da sola più di tutta la Grecia o di tutto il Portogallo. Adesso nelle nostre case entra la miseria nera. Siamo alla carità. Che è successo? Cosa possiamo fare? Cosa stiamo facendo?
Questa che sto guardando è una foto storica, l’ho già vista suppergiù uguale, e so che la rivedrò. La gente che fruga nei cassonetti va crescendo e non calando. I miserabili veneti che si curvano in cerca di cibo tra le immondizie non si guardano in faccia tra di loro. Si vergognano. Ci fu un tempo in cui i veneti erano emigranti, straccioni, sporchi: ma quel tempo era sparito e pensavamo che fosse sparito per sempre. Sparito quel tempo, tra i veneti serpeggiò una sgradevole forma di razzismo, di disprezzo verso chi immigrava qui, e verso i meridionali: io lo interpretavo come una forma di rifiuto verso il proprio passato, di vergogna per quel che erano stati. I miserabili del tempo presente gli ricordavano i miserabili del tempo passato, che loro stessi erano stati. Sta tornando quel passato? Della crisi in cui siamo precipitati non s’intravede la fine?
Uomini che s’arrangiano per mangiare ne ho già visti in altri popoli in crisi. Nell’Unione Sovietica che si disfaceva ho visto per le strade di Mosca donne che vendevano gattini, cagnolini, sedie rotte, icone, di tutto. Racimolavano qualcosa per comprare il pane. Facevano questo lavoro con dignità, con eleganza, mostrando la merce senza parlare, anche ai turisti occidentali. Anche nella Piazza Rossa. Gli uomini immiseriti e disperati si ubriacavano, alle 8 del mattino li trovavi lunghi distesi sui ponti caduti in coma etilico. Ho un traduttore a Mosca, persona molto colta e intelligente, che insegnava all’università, e mi raccontava che con lo stipendio statale lui con la moglie viveva per i primi 15 giorni del mese, poi girava per i campi in cerca di erbe. In Cile rubavano di tutto. Se mi mettevo sulla porta dell’albergo aspettando il taxi, stringendo la valigia fra le gambe, un portiere dell’albergo veniva a tenere ferma la valigia con le sue mani, che non s’involasse via. Nella sede di un Club Méditerranée in Turchia noi clienti dell’Europa Occidentale mangiavamo al self-service a volontà, in un giardino recintato con reti metalliche, e aggrappati con le dita alla rete i bambini locali ci guardavano spalancando gli occhi e la bocca. Non ci sono più tornato, era una vergogna per noi.
In Spagna, quando la Spagna era povera, perché ora ci ha superato, passavo per una strada di Madrid e una vecchietta mi seguiva, docile e instancabile, ripetendo una richiesta: “Pìlula, pìlula”: mi pareva sfinita, voleva una pillola rinforzante? Vitaminica?
Più furbi i ragazzi senza soldi e senza lavoro, che truffavano i turisti stranieri a Budapest, a Varsavia e a Praga, proponendoti la vendita di loro moneta a un cambio super-vantaggioso, mostrandoti le loro banconote in una mano e chiedendoti di vedere le tue, con un guizzo arraffavano le tue e scappavano ripetendo ad alta voce: “Confidente, confidente”, per indicare la presenza di un collaboratore della polizia ed invitarti a scappare anche tu, perché quello scambio di monete era illecito. In tutti i paesi del mondo la miseria aguzza il cervello. C’eran città dove non potevi uscire dalla stazione con la tua valigia perché un ragazzotto l’afferrava senza dir niente e correva verso un albergo di sua scelta, tu non potevi far altro che seguirlo e per di più gli dovevi dare anche una mancia. In nessun tempo, in nessun popolo ci dovrebbero essere quelli che non hanno niente da mangiare accanto a quelli che ne hanno troppo.
Quelli che pescano il cibo con le mani tra le immondizie e quelli che lo buttano via nei cassonetti. Nel popolo dove si verificano queste disuguaglianze regna l’ingiustizia. La politica che si occupa di tante cose ma non di questa non serve a niente. Se in quella politica non c’è un’area di partiti che si occupino di questo problema, che il Cristianesimo riassume nella formula “dar da mangiare agli affamati”, vuol dire che in quella politica “non c’è una sinistra”. Ci si domanda spesso quale dovrebb’essere il compito della Sinistra, cosa dovrebbe proporsi. È semplice: tutti devono poter mangiare per vivere, e curarsi per non morire. Certo, ci sono anche altri compiti. Ma dopo.
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