La lotta per la vita di Manuel, che parla con gli occhi
TRIESTE Trentadue anni, triestino. Ammalato di Sla da quando ne aveva ventuno. Da sette è a letto, immobilizzato. Manuel Riccio Bergamas oggi muove soltanto gli occhi. Per comunicare usa un “puntatore ottico”, un computer che tiene sopra la testa, in grado di leggere il movimento delle pupille.
Manuel lotta per la vita. Per la dignità della vita. Lotta per un’esistenza felice – «sì felice», dice – nonostante tutto. Combatte per realizzare tutto ciò che può, anche se in una condizione così invalidante. Non è credente, Manuel.
Negli ultimi mesi, dopo estenuanti battaglie con le istituzioni, il trentaduenne triestino è riuscito a ottenere un appartamento suo, attrezzato, e un’assistenza adeguata. Ci ha creduto, sostenuto dalla sua forza e da quella di chi gli sta intorno. Anche se una famiglia solida, Manuel, non l’ha mai avuta.
«Io voglio vivere, non sopravvivere», scrive dal suo computerino. A letto, con la tracheotomia e il respiratore artificiale, prepara gli esami universitari in Storia e filosofia. I professori vengono a casa sua a interrogarlo.
Manuel così incontra gli amici. Legge, ascolta la musica che più gli piace. E ha una fidanzata. «Io la voglia di vivere la prendo da ogni cosa, spremendo al massimo la vita, in ogni condizione, godendo dei rapporti, dello stare con chi amo, con la mia compagna, nello studio, nell’evolvermi e nel crescere come persona». Il trentaduenne segue con molta attenzione le vicende politiche e sociali del Paese, compresa quella sul fine vita.
«Ho letto del caso di dj Fabo – spiega ancora Manuel – e della sua decisione. Credo che ognuno sia libero di scegliere il proprio destino ed è fautore e co-creatore di quest’ultimo. Solo lui, Fabo, sapeva ciò che succedeva dentro a se stesso. Solo lui sapeva ciò che sentiva il corpo, i dolori, le sensazioni. E, in base a queste, ha fatto la sua scelta. Per lui vivere non valeva la pena. Ha scelto di morire. Io penso che la sua decisione meriti rispetto profondo, come quella di vivere. Ma su questo tema, purtroppo, c’è il vuoto della politica».
Manuel, la sentenza della Corte costituzionale è stata storica. Tanto più che in Italia non c’è ancora una normativa specifica. Cosa pensi della vicenda personale di dj Fabo?
Dunque, partiamo da una premessa: ognuno è libero di scegliere il proprio destino ed è fautore e co-creatore di quest’ultimo. Solo lui, dj Fabo, sapeva ciò che succedeva in lui e ciò che sentiva il suo corpo, i dolori, le sensazioni e, in base a queste, in base a quel che provava, ha fatto la sua scelta. Per lui vivere non valeva la pena. Ha scelto di morire, penso la sua decisione meriti rispetto, come quella di vivere. Ecco, in generale io credo non si possano giudicare simili scelte, e penso lo Stato, tramite il Parlamento, debba legiferare su questo tema dando indicazioni chiare, chiarissime, e dando massima libertà, seguendo le indicazioni della Consulta, che ormai già un anno fa aveva sollecitato le Camere a produrre una legge. Inoltre credo che questa legge debba dare massimo sostegno alla vita, con aiuti sia economici sia in termini di personale, ma lasciar libero di andare chi non riesce a sopportare la sofferenza.
Come valuti la decisione della Corte costituzionale?
Positivamente. Una persona che aiuta un’altra a morire, presente e completamente lucida come dj Fabo, non può essere incriminata e processata. Purtroppo, per mancanza di volontà da parte della politica, su questo tema c’è un vuoto legislativo e si procede alla cieca. Quindi auspico venga fatta chiarezza quanto prima, con un disegno di legge il più rappresentativo possibile e non seguendo gli interessi di una o poche parti.
Tu personalmente, dove trovi la forza per affrontare la tua condizione? Tu hai sempre detto che desideri vivere. E, anzi, migliorare il più possibile la tua situazione: con la casa, l’ assistenza. E ti sei fidanzato.
Come ho detto prima, tali scelte sono personalissime. Ognuno sa dove può arrivare la propria sopportazione. Certo una legge dovrebbe favorire la vita, dando però libertà. Dopo aver fatto questa premessa, dico che io amo fare esperienza in questo corpo, in questa vita. Penso sia una cosa innata in me, pur da non credente. In ogni caso, la voglia di vivere la prendo da ogni cosa, spremendo al massimo la vita, in ogni condizione, godendo dei rapporti, dello stare con chi amo, con la mia compagna, nello studio, nell’evolvermi e nel crescere come persona. In passato sono finito, per più di due anni, in alcune strutture, poiché istituzioni e Asuits pensavano fosse la miglior sistemazione per me. Io invece volevo vivere, non sopravvivere, e ho lottato assieme a chi mi ama, per uscire dalle strutture e tornare a vivere in un luogo tutto mio e chiedendo fondi per l’assistenza. Ecco a cosa mi riferivo prima, uno non dovrebbe lottare per vivere.
Ma perché, secondo te, la politica non è ancora intervenuta in Parlamento per fare una legge adeguata?
Per me la politica non ha ancora legiferato per due motivi. Il primo: non ha coraggio di farlo, poiché ci sono troppe divergenze tra i partiti. Quindi trovare un’intesa è molto complesso. Più facile rimandare, come effettivamente successo. Il secondo motivo è che la classe politica molto probabilmente non si rende conto che la maggioranza del Paese è pronta per una legge del genere. Ma è più facile rimandare. —
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