In Consiglio comunale il caso Picchione
Il ballo ha passi formalmente gentili ma nella manica si nasconde il coltello. È ormai un corpo a corpo il rapporto tra il Comune, segnatamente il Consiglio comunale, e la soprintendente ai Beni architettonici Maria Giulia Picchione. Tutti gli inviti a incontri ufficiali vengono dall’architetto Picchione molto cortesemente accettati con spirito grato e di fatto contestati o rifiutati con lettere di dolcissima durezza. Questa l’impressione dei consiglieri comunali. Ieri in Consiglio, visto il rifiuto che Picchione ha opposto a una richiesta motivata di audizione in aula, è stata depositata una mozione urgente a nome di Franco Bandelli e Alessia Rosolen (Un’altra Trieste), Roberto Decarli (Trieste cambia), Patrick Karlsen (Cittadini) ma controfirmata da tutti i capigruppo. Con la quale si chiede al sindaco Cosolini di attivarsi con la governatrice Debora Serracchiani, con la Commissione paritetica Stato-Regione e l’Anci «per chiedere il trasferimento delle competenze della Soprintendenza alla Regione». Per ridurre il «“calvario burocratico” che blocca lo sviluppo del commercio, dell’artigianato e dell’industria di questo territorio».
Il caso è diventato incandescente dopo la seconda occasione di frizioni fra consiglieri comunali e Soprintendenza. Primo capitolo, i capigruppo chiedono di incontrare Picchione, la quale accetta, ma poi rifiuta il dialogo per ragioni formali, quando viene in luce che, nella sede della Soprintendenza, quel 12 febbraio, è in corso una “riunione di capigruppo” accompagnata da un proprio verbalizzante. Secondo atto, il presidente del Consiglio Iztok Furlanic il 14 febbraio, cioé solo due giorni dopo, spedisce un formale invito alla Soprintendente a intervenire al Consiglio comunale di ieri sera, alle 19, per una audizione richiesta - scrive - dalla conferenza dei capigruppo «all’unanimità». Furlanic definisce nelle sue righe «indifferibile» la necessità dell’audizione «per poterle porre - dice alla soprintendente - una serie di quesiti e chiederle informazioni legate al ruolo fondamentale che ha la Soprintendenza anche in relazione allo sviluppo della città».
La risposta non si è fatta attendere, l’architetto Maria Giulia Picchione a stretto giro di posta ha di fatto risposto di no, che in aula non sarebbe andata, perché non erano state condivise «non solo le ragioni di opportunità, ma le modalità, le date comunemente utili e la sede degli incontri». Picchione anche ricorda che l’obbligo di tutela del patrimonio culturale affidato alle Soprintendenze dal ministero discendono dalla Costituzione, quindi tutti gli altri interessi in materia di «governo del territorio» devono ritenersi rispetto a questo «cedevoli». La convocazione viene infine definita «irrituale», in «aperto contrasto con i principi di leale collaborazione e pertanto non può essere accolta». Ferma restando «la più volte dimostrata disponibilità a incontrare i rappresentanti degli enti».
E così i consiglieri scrivono la mozione, tutti i capigruppo la sottoscrivono e il testo arriva in aula. Dovrebbe essere il primo punto all’ordine del giorno, ma per questioni meramente pratiche un firmatario chiede che il tema passi in coda, e così avviene. Intanto il messaggio è entrato in campo.
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