In Carso riesplode la guerra del Prosecco
TRIESTE. «Prendiamo atto del boom del Prosecco ma stride che, proprio nella sua patria, gli venga negata ogni possibilità di sviluppo». Sandi Skerk tra tre anni raccoglierà i primi frutti di una coltivazione avviata nel 2011, bottiglie che non avranno però l’etichetta “Prosecco”: «Non ho alcuna voglia di utilizzare il nome, non con una Regione che non applica il protocollo d’intesa che ha dato il via libera alla creazione della nuova Doc». Alla vigilia del punto della situazione (lunedì a Prosecco) sulla Doc interregionale tra gli assessorati di Fvg e Veneto, riesplode la guerra sul vino con le bollicine. Skerk, che a inizio febbraio ha scritto a ministero, presidente della Regione e assessorato all’Agricoltura, «senza avere risposta», critica i troppo vincoli e la mancanza dei piani di gestione. Ma c’è anche la politica: Igor Gabrovec legge dell’annuncio di Claudio Violino del raddoppio della produzione (da 200 a 400 milioni di bottiglie) e non digerisce. «Nulla di male che l'assessore incontri il suo omologo del Veneto e il vicepresidente del Consorzio Prosecco Doc, se non fosse che si parte dal presupposto che la Regione abbia rispettato gli accordi dell'aprile 2010. E invece – prosegue il consigliere della minoranza slovena – il nostro territorio rimane una rassegna di vincoli, alcuni assolutamente assurdi, come quello idrogeologico, tanto da far fuggire gli agricoltori oltre confine dove, pur in presenza di analoghe aree protette, i tempi burocratici sono sostenibili». C’è poi la questione risorse. «L'unica linea di finanziamento riconducibile agli impegni del protocollo – ricorda Gabrovec – si è conclusa con il sostegno a un progetto di recupero del ciglione carsico sotto Prosecco, affidato al Consorzio di bonifica pianura isontina. Finanziamento definibile "pilota" in quanto in Finanziaria, azzerandone il capitolo, non ne è stato previsto il proseguimento». Non basta: «Violino ha presentato il Progetto di sviluppo del Carso, che da solo prevede oltre 100 milioni di potenziali investimenti, per poi soffocare già in sede di presentazione ogni speranza sui possibili finanziamenti». Concetti già espressi dai produttori nella lettera firmata Skerk, come vicepresidente del Consorzio Collio-Carso. In provincia di Trieste, evidenzia il produttore, «ci sono complessivamente 450 ettari coltivati a vite. Noi vorremmo poter realizzare un centinaio di ettari di nuovi impianti: è troppo chiedere di poterlo fare? Perché impedire il nostro sviluppo?». Le istituzioni non hanno al momento risposto. Eppure, rileva ancora Gabrovec, la Doc interregionale è stata possibile «grazie alla disponibilità del Consorzio del Carso e di altri firmatari che hanno ritirato il ricorso presentato al Tar del Lazio. Ma gli impegni non sono poi stati mantenuti». E Skerk aggiunge: «Mentre noi siamo costretti a cercare spazi vitali nella vicina Slovenia, nei prossimi tre anni il Veneto potrà piantare migliaia di ettari di Prosecco e il Friuli 3.500, utilizzando la nostra concessione della denominazione geografica “Prosecco” per la nuova Doc interregionale che ha messo al riparo dall’assalto estero. Vantaggi cui vorremmo compartecipare». Dal fronte delle categorie, Dario Ermacora invita però a non strumentalizzare la questione Prosecco. I produttori del Carso, spiega il presidente di Coldiretti, «chiedono legittimamente la sburocratizzazione ma lo devono fare guardando a tutta l’attività agricola di un territorio effettivamente penalizzato da vincoli che sono comunitari ma che pesano molto più in regione che non nella vicina Slovenia». E dunque il problema «va senz’altro affrontato, ma non legandolo al solo Prosecco». Anche perché «parliamo di un’area in cui non pare né economico né strategico produrre quel tipo di vino». Questione di resa – «il Prosecco può arrivare a 180 quintali per ettaro, non certo il caso del Carso – e anche, sempre secondo Ermacora, di mancanza di trazione e attrezzature. «Più opportuno che il Carso valorizzi le grandi potenzialità sugli autoctoni Vitovska, Malvasia e Terrano, conservando e anzi rafforzando quella che è la sua vera tradizione».
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