In Bosnia e Croazia è ancora incubo mine
BELGRADO. Una guerra dopo la guerra, che ancora si combatte con alterni risultati. E la cui fine, promessa per il 2019, arriverà con ulteriore ritardo, probabilmente nel giro di un decennio. È la guerra contro mine antiuomo e altri ordigni inesplosi che restano occultati nel terreno in ampie aree dei Balcani, in particolare in Croazia e in Bosnia, una delle più tristi eredità del conflitto degli Anni Novanta. Il problema è stato attualizzato in Croazia dal direttore del Centro nazionale per lo sminamento (Hcr), Zdravko Modrusan, che ha confermato che l’obiettivo di “ripulire” l’intero Paese dalle mine entro il 2019, come da Convenzione di Ottawa, non sarà raggiunto. Bisognerà aspettare ancora «da 5 a 10 anni» - più probabile la seconda opzione - ha previsto, parlando alla Tv pubblica e specificando che servono 450 milioni di euro per finire il lavoro.
La previsione al 2022 o al 2025 si basa su numeri precisi, come quelli dei morti per mine, 213 in Croazia dalla fine della guerra. Croazia dove sono oggi ancora 418 i chilometri quadrati a sospetta “contaminazione” da circa 40mila ordigni invisibili, in terreni in gran parte localizzati nella regione della Lika, nella contea di Sisak, nella zona di Slavonski Brod e nelle aree confinarie con Serbia e Bosnia. Per questo - ha specificato il ministro degli Interni Davor Bozinović, citato dall’agenzia di stampa Hina - Zagabria sta lavorando a un «nuovo piano nazionale per lo sminamento», che sarà rimpolpato da sostanziosi fondi Ue come accade da tre anni a questa parte. Il piano avrà un impatto anche sul futuro accesso all’area Schengen della Croazia, ha suggerito Bozinović, perché rimuovere le mine dalle aree di confine permetterà un migliore controllo delle frontiere Ue.
L’obiettivo 2019 è ormai una chimera anche per la Bosnia-Erzegovina, il Paese più martoriato dalla guerra, dove le mine hanno mietuto più di 600 vittime dal 1996 a oggi. E dove, come in Croazia, ci vorranno molti altri anni ancora per arrivare alla pulizia totale dagli ordigni. «L’attuale superficie sospettata» di essere «pericolosa» perché minata durante la guerra è oggi di «1.081 chilometri quadrati, il 2,2% di quella totale della Bosnia-Erzegovina», raccontano al Piccolo dal Centro bosniaco per lo sminamento (BhMac). Mine - circa 8mila quelle ancora non estratte - che impattano ancor oggi sulla vita di oltre 500mila persone che risiedono nelle aree più interessate dal fenomeno. Sono «Doboj, Maglaj, Teslic, Usora, Zavidovici, Gornji Vakuf, Sanski Most, Velika Kladusa,Travnik e Ilijas», le dieci municipalità più a rischio; ma il problema è comune ad altri 129 comuni.
La Bosnia ha fatto passi da gigante dal 1996 a oggi, bonificando oltre 3mila chilometri quadrati di territorio minato, ma il Paese non riuscirà a essere “landmine free” entro il 2019. «Il processo di sminamento è complesso e di lunga durata», precisa il Centro BhMac, «speriamo sarà concluso in accordo con la Strategia per lo sminamento 2018-2025». La volontà c’è ma resta l’incognita «dei finanziamenti», scarsi. Perciò «siamo in ritardo di circa quattro anni» rispetto ai piani della Strategia 2009-2019, ammettono da Sarajevo. Intanto i campi minati restano un grave pericolo, con casi di persone che continuano a finire in zone a rischio in particolare «per raccogliere legna e materiali da riciclare, spinti dalle loro difficili condizioni» economiche. O semplicemente per errore o per gioco. Lo hanno compreso tre ragazzini, tra gli 11 e i 13 anni, salvati giorni fa dopo essere finiti in un campo minato nei pressi del villaggio di Kasatici. «Solo la pronta reazione dei team della protezione civile» ha scongiurato una tragedia, hanno specificato le autorità.
Ma potrebbe non andare sempre così. E non è andata così in altri cinque casi nel solo 2017. L’unica soluzione è lo sminamento totale. Magari prima che arrivi il trentennale della fine della guerra.
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