In Alto Adige la montagna vuole parlare solo tedesco
TRIESTE. Rischia di innescare un effetto-domino su tutte le Alpi la recente decisione assunta dalla Provincia di Bolzano e dal governo di Roma di cancellatore definitivamente la versione italiana di 135 toponimi altoatesini o meglio, per restare in tema, sudtirolesi. Sui cartelli e sulle segnavie che indicano i percorsi che portano alla malga, alla forcella, al rifugio o alla vetta, da oggi gli escursionisti potranno leggere solo il nome tedesco della loro meta. Saranno così inservibili in buona parte le guide che dovrebbero essere presenti nello zaino di molti appassionati di montagna. Diverranno più difficili da interpretare la carte al 25mila e risulteranno inservibili le “tavolette” stampate dell’Istituto geografico militare di Firenze. Non si sa se e quando dovranno adeguarsi all’accordo politico - linguistico i navigatori satellitari.
Fin qui i disagi per gli escursionisti. Ma la cancellazione dei 135 toponimi in lingua italiana rischia di innescare la discesa a valle di una valanga che dall’Alto Adige – Südtirol non potrà non coinvolgere altre aree della catena alpina in cui da secoli vivono gruppi linguistici e culturali diversi da quello italiano. Perché in provincia di Bolzano si può fare e da noi invece no? Perché il presidente Luis Durnwalder ha convinto il ministro degli affari regionali Graziano Del Rio e i nostri rappresentanti, al contrario, segnano il passo? Questi interrogativi a breve coinvolgeranno i rappresentanti politici di altre popolazioni alpine, gelose della loro lingua e diffidenti verso le scelte che vengono dalla capitale. Le richieste si faranno a sempre più pressanti perché i 135 toponimi italiani sacrificati alla ragion di Stato, rappresentano solo la prima tranche di una cancellazione più estesa e numerosa perseguita dai partiti del gruppo etnico tedesco. Südtiroler Volkspartei in testa, ma in buona compagnia di altre formazioni radicali del gruppo etnico tedesco.
Già quattro anni fa l’Alpenverein – il Club alpino tedesco - aveva tentato un blitz piazzando sui sentieri e nei boschi atesini sessantamila cartelli segnalatici, la maggior parte dei quali monolingui. Molti turisti italiani avevano protestato perché la mancanza di informazioni in italiano sui percorsi aveva reso meno sicure o solo più incerte le loro escursioni e passeggiate. Quei sessantamila cartelli in tedesco erano stati pagati con soldi pubblici provenienti da Bruxelles e da Roma. Va aggiunto che questa spallata al bilinguismo nei cartelli segnaletici non aveva avuto il supporto istituzionale di un accordo politico; ma aveva avuto il merito di preparare il terreno all’attuale cancellazione di 135 toponimi italiani introdotti forzatamente dal governo di Roma negli anni successivi alla Grande Guerra e alla dissoluzione dell’Impero asburgico. Il confine si era spostato al Brennero e a Tarvisio e tante popolazioni fedeli all’Impero erano entrate a far parte del Regno di casa Savoia, subendo anche le violenze del regime fascista. Come scrive Patrizia Dogliani sul “Dizionario del fascismo”, edito da Einaudi, “l’Italiano diventò in Alto Adige l’unica lingua ufficiale dell’amministrazione civile e della Giustizia, mentre si procedette a italianizzare capillarmente la toponomastica”. Ecco uno dei motivi per cui oggi a fare le spese del nuovo assetto linguistico è anche la parte sommitale della “Via Vetta d’Italia”, in valle Aurina, Ahrntal per i tedeschi. Grazie alla monolingua introdotta per spirito di “revanche” nella toponomastica alpina dai tirolesi del Sud, si chiama Lausitzer Weg. Niente più vetta, niente più Italia.
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