Il ventre del Canin svela agli speleologi la più grande grotta mai scoperta in Italia

FVG. Una grotta dall’estensione superiore agli 80 chilometri. L’ha scoperta un gruppo di speleologi triestini all’interno del complesso del monte Canin, sul crinale delle Alpi Giulie vicino al confine con la Slovenia.
La grotta dei record nasce dalla congiunzione di quelle già conosciute e che si aprono sotto il Col delle Erbe e il Foran del Muss, due falsipiani presenti attorno alla cima del Canin, lunghe rispettivamente 30 e 40 chilometri. La congiunzione di queste due grandi cavità sotterranee fanno sì che il gigante che ne deriva diventi la grotta più estesa d’Italia, superando così di almeno sei chilometri il complesso di cavità sotterranee del Supramonte Orientale, in Sardegna, lungo “solamente” 74 chilometri.
Questa scoperta è solo l’ultimo tassello delle esplorazioni portate avanti nella zona nel corso degli anni e conferma il massiccio del Canin come una delle più grandi aree dalla conformazione carsica d’Europa. La cifra precisa della sua lunghezza totale non è facile da calcolare, e comporterà ulteriori mesi di lavoro a causa dei molti ingressi e dalle giunzioni successive di numerose grotte, ma in base ai dati catastali in possesso degli speleologi viene desunta in più di 80 chilometri. La profondità massima raggiunta da questo complesso di grotte è invece di –1118 metri, un punto che si avvicina di molto al livello del mare, in considerazione del fatto che il massiccio del Canin ha un’altitudine che varia fra i 1.800 e i 2.300 metri.
«Questa scoperta è la fine di un lungo lavoro di ricerca collettivo iniziato nel 1964 - spiega Furio Premiani, presidente della Federazione Speleologica Triestina -, poi abbandonata e ripresa in forze a partire dal 2012. All’interno della montagna ci sono tanti percorsi che hanno dato origine a questo complesso unico dallo sterminato sviluppo planimetrico e dotato di ben 50 ingressi».
L’utilizzo di strumenti all’avanguardia hanno consentito di capire l’esistenza di un congiungimento fra i due complessi di grotte già conosciuti e presenti fra il Col delle Erbe e il Foran del Muss. «Grazie agli Arva, ossia gli strumenti di ricerca utilizzati in caso di valanghe - spiega ancora Premiani - i due speleologi che per ultimi si sono calati nelle due cavità avevano iniziato a “sentirsi” comprendendo di trovarsi a pochi metri di distanza».
Da lì la scoperta del collegamento fra le due cavità. Una scoperta costruita negli anni e frutto del lavoro di tutti i gruppi speleologici regionali, oltre a molti provenienti da Lombardia, Veneto, Polonia e Ungheria, che nel corso del tempo hanno dato il loro contributo nelle esplorazioni del Foran del Muss e del Col delle Erbe. Un complesso di antri, caverne, pozzi e grotte impossibili da rendere visitabili a causa della loro conformazione. «La temperatura all’interno di quest’area è di due gradi costanti e l’umidità è prossima al 100% - spiega ancora Premiani - oltre a questa difficoltà di tipo ambientale va rimarcato come tutti gli ingressi sono a pozzo, pertanto non esistono ingressi che non prevedano la progressione su corda».
Oltre alle caverne vere e proprie, infatti, la grotta nella sua totalità è un groviglio di pozzi, gallerie, fratture che portano ad altri pozzi e gallerie in direzione della val Raccolana. Se il progressivo scioglimento dei nevai della zona ha contribuito a questa incredibile scoperta, Premiani non ha dubbi: «Alcune grotte erano occluse e il ritiro dei nevai ha consentito di trovare altri ingressi, ma dell’esistenza delle grotte gli speleologi ne erano già a conoscenza da tempo». —
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