Il sindaco Dipiazza cala la “carta” Bosso: è caccia ai fondi per il teatro Verdi di Trieste
TRIESTE «Benvenuto a Trieste. Benvenuto nella famiglia del Verdi. Trieste è una città speciale. È la terza volta che faccio il sindaco e alla fine di Trieste ti innamori. Il maestro verrà come residente nella nostra città». Roberto Dipiazza, tre volte sindaco di Trieste, accoglie il nuovo cittadino illustre nel Salotto azzurro del Municipio affiancato dagli assessori comunali Serena Tonel e Carlo Grilli. Ezio Bosso è stato da poco nominato direttore stabile residente del Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste. «Ho già trovato casa. Proprio di fronte al teatro», informa il musicista (che si fa già chiamare “mulo musicante” in omaggio alla città). «Hai già trovato casa? Con 20mila appartamenti vuoti non è difficile. Quello comunque è uno dei palazzi più importante», scherza il sindaco riferendosi al Tergesteo.
«Sono emozionato. Oggi è una delle più belle giornate da quando faccio il sindaco. Il tuo arrivo al Teatro Verdi credo che mi e ci porterà fortuna», aggiunge il primo cittadino pronto a giocarsi la carta Bosso per risollevare le sorti del lirico che deve ancora “elaborare” il lutto dell’ennesimo taglio del Fus (Fondo unico per lo spettacolo). Si tratta di quasi 900mila euro. «Siamo anche un po’ penalizzati in questo periodo dal governo centrale. Ci hanno ridotto i finanziamenti del Fus. È da 15 anni che vado a Roma e ogni volta i vari ministri mi raccontano la stessa storia: non ci sono risorse. Un teatro così importante che sta sul confine orientale del nostro Paese, rivolto ai Balcani, deve avere più attenzione da parte del governo. In tal senso sono sicuro che anche con il ministro Franceschini troveremo un punto d'incontro». E intanto, fa sapere, userà il “portafortuna” Bosso per reperire risorse.
«Tra un po’ vado alla Siot e chiederò loro di dare una mano al teatro. Con tutto il petrolio che gli versiamo», annuncia Dipiazza che qualche mese fa, prima dell’arrivo del direttore stabile residente e prima del taglio milionario del Fus, aveva già promesso uno sponsor di livello per il teatro.
«Con il maestro Bosso abbiamo trovato subito un’intesa e una comunità d'intenti anche con la Regione - aggiunge il sovrintendente Stefano Pace – . Pensate che Bosso ci mette il doppio del tempo per arrivare a teatro (nonostante alloggi di fronte, ndr) perché tutti vogliono testimoniargli la propria felicità e congratularsi per il nuovo prestigioso incarico. Si siamo anche noi del tutto convinti che ci porterà più che fortuna». E il neodirettore Ezio Bosso, visibilmente emozionato, ringrazia di cuore. «Sono arrivato qua da cinque giorni e ci siamo già messi al lavoro. Avevo due concerti programmati e li ho cancellati per lavorare ogni giorno. Il Teatro Verdi è una risorsa che crea risorse e ha bisogno di risorse. E di risorgere. Il teatro è esso stesso una risorsa da proteggere e da tutelare come previsto dall’articolo 9 della Costituzione». Quello per Trieste è un amore incondizionato alla letteratura. «Il mio amore di Trieste si conosce da sempre. Sono nato a Torino che è un po’ lo specchio di Trieste. La amavo dai libri che leggevo. La amavo da Joyce. Sono uno dei pochi a cui Joyce piace veramente. E non fa finta. Le altre volte che venivo andavo sempre nell’albergo con la stanza di Joyce. L’ultima volta che ho fatto il recital al Rossetti, un anno e mezzo fa, tutti mi dicevano: “Torna”. E io rispondevo: “Io mi fermerei”». Detto, fatto.
Per il contratto di due anni con il direttore Bosso non è prevista alcuna retribuzione. Ma con lui arriva anche la casa discografica Sony Music. «Se l’attività diventerà remunerativa, beh, allora diventeremo tutti ricchi», ha ribadito in un’intervista di ieri al Gazzettino raccontando un altro un episodio legato al suo arrivo a Trieste: «L’altro giorno i dirigenti del teatro sono venuti a prendermi a Bologna. Ad un certo punto ci siamo fermati in un autogrill. C’era tanta gente e pure un gruppo di una scuola di Udine. Mi hanno riconosciuto. È stato bello perché mi hanno chiamato il “maestro di Trieste”. È un modo scherzoso per farmi sentire uno di loro».
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