Il rock oltre la morte di Dario diventa film: su il sipario sull’album dei Pat Heaven

La rassegna Analogie acustiche presenta a Villesse i brani registrati in una stanza dell’ospedale San Polo 

VILLESSE Per molti artisti, su tutti i rocker, la morte è stata il punto culminante di una carriera. Dario Trevisan, che fino all’ultimo ha lottato come un leone per restare aggrappato al mondo, non avrebbe forse prestato molta attenzione a queste singolarità. Eccezioni sulla strada dello star system. Invece si sarebbe entusiasmato, e molto, per una musica che sa continuare, pure in diverse forme espressive, il suo viaggio post vitae.

Dario è morto, ma non la sua musica rock


Ed è quanto capitato, in questo piccolo miracolo tutto bisiaco, alle note uscite dalla sua tastiera mentre dal letto di una Rsa, prima di morire perché afflitto da una devastante recidiva tumorale, cercava di venire a patti col suo destino, senza mai smettere di pensare al futuro. Oggi alle 20.30, infatti, al parco di palazzo Ghersiach a Villesse sarà presentato in anteprima l’album dei Pat Heaven “To Heaven again”, in memoria del ronchese Trevisan, morto nel 2017 a 60 anni, fondatore di una delle band più famose in Fvg, Austria e Slovenia tra gli anni ’80 e ’90.

Il progetto, inserito nella rassegna estiva Analogie acustiche, vedrà anche la presenza – oltre naturalmente al resto del gruppo hard rock – del dottor Gualtiero Scaramella, che rese possibile la registrazione dei brani suonati da Dario nella stanza dell’ospedale in cui era ricoverato, il San Polo di Monfalcone. Una bella storia di solidarietà di medici e infermieri, già raccontata su queste colonne.

All’epoca il musicista di Selz, fortemente debilitato, non riusciva neppure a stare seduto sul suo letto; ma l’idea di rimasterizzare i brani storici della sua band, suggeritagli dall’amico Massimo Devitor, direttore e compositore di canto corale, gli diede nuova linfa. E, sorprendentemente, gli consentì di superare le aspettative di vita in un primo tempo annunciate dai dottori. Vennero in aiuto Andrea Garnancini, vicesindaco di Heraklion che prese l’aereo per rimettersi dietro una batteria e Paolo Massarenti alla chitarra. Rivisse così il repertorio classico: Rush of the thunder ch’era presente nel vinile Welcome to heaven dell’88, poi finito nell’enciclopedia del rock italiano, e Running alone.

Dario si mette alle tastiere e incide il disco al San Polo


L’odierna presentazione del progetto dei Pat heaven (sottotitolo: quando il rock è più forte della morte) sarà intervallata da brani in chiave acustica, per voce di Devitor, che fino all’ultimo stette vicino a Dario. Con lui pure Valerio Colella (mandolino) e alle chitarre Massarenti e Dario Sain. Si racconteranno la storia, i retroscena, ma soprattutto i progetti futuri della band. Sì, perché la storia di Trevisan, primo musicista italiano ad aver registrato un album da malato terminale, non finisce mica qui. «C’è l’interessamento di una casa di produzione cinematografica internazionale per la realizzazione di un docu-film su questa vicenda particolare – spiega Devitor – e in questi giorni abbiamo registrato anche l’attenzione di partner sloveni. Il prossimo passo sarà far partecipare il corto ai concorsi di settore, da Berlino a Toronto: già ci hanno chiesto di prender parte alla prossima rassegna di Cervignano». Dove, fatalità, il tema sarà proprio “Cinema e musica”.

“Pat Heaven: una storia di provincia, rock e maledetta” diventerà dunque uno storytelling per radio e soprattutto un docu-film al cui soggetto e sceneggiatura stanno lavorando Massimo Boscarol e Devitor. Il primo, esperto musicale e bibliotecario, introdurrà l’appuntamento di stasera.

Ma Dario manca? «Tanto – risponde subito Massimo Devitor –, soprattutto la sua sincerità caustica, che ce lo faceva sempre apprezzare. Questo progetto gli sarebbe piaciuto molto e, nel nostro piccolo, abbiamo già avuto un segno di ciò». Vale a dire? «L’altro giorno – replica – eravamo tra noi, in sala prova, quando un collega musicista ha posto la stessa domanda e, proprio in quel momento, è andata via la luce. Un black-out totale. Nessuno si è scomposto, anzi uno di noi ha detto proprio così: “È stato Dario”». Per chi ci crede, anche questo è un segno. —




 

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