Il rettore: "La politica non aiuta ma contrasta l’Università"
L’atto d’accusa di Francesco Peroni all’inaugurazione del nuovo accademico
Francesco Peroni
TRIESTE.
Una domanda cruciale, di forte spessore morale, scenderà oggi dal più alto scranno dell’Università, chiamando in causa direttamente, e pesantemente, le istituzioni nazionali e locali, e il momento presente, buio più che opaco. Ed è questa: perché tanto lavorare, riorganizzare, risparmiare, migliorare il bene pubblico (e nessuno, per una collettività, è di più basilare valore dell’educazione e dell’alta formazione) quando la politica che dovrebbe sostenere e premiare al contrario dimostra scarsa o nulla sensibilità? A che serve fare tanto, e in tanti, quando lo sforzo dei singoli non può avere la meglio su politiche «che si pongono addirittura in contrasto»?
È questo il cuore della prolusione che oggi alle 15, nell’aula magna, il rettore Francesco Peroni terrà per inaugurare il nuovo anno accademico. Confessando, prima di tutto, che la tentazione sarebbe stata un’altra: cancellare l’appuntamento, vista la situazione così problematica, con finanziamenti ancora incerti per il 2010, una previsione di ulteriore taglio del 18% del Fondo di finanziamento ordinario, che farebbe precipitare l’introito da 100 a 88 milioni. E solo gli stipendi (pur riequilibrati sotto la soglia del 90%: «unica università italiana ad aver raggiunto il risultato») ne costano 92.
Le ultime notizie, e cioé l’approvazione in quinta commissione della Camera dell’emendamento 1500, porterebbero qualche voce di correzione: 800 milioni di finanziamento aggiunti per il 2011 e 500 per il 2012, con quote per l’assunzione di professori al di fuori dei vincoli, per borse di studio (100 milioni) e per credito di imposta a imprese che affidano ricerca e sviluppo a università e enti pubblici di ricerca (altri 100 milioni). Così il taglio effettivo sarebbe pari a quello del 2010: un altro 4,5%. Ma c’è da consolarsene?
Peroni dirà di no. Perché non si può arrivare a fine anno in queste incertezze, senza poter programmare, facendo correttivi mese per mese «in spasmodica attesa». Perché comunque si è alla mera sopravvivenza. E oltretutto di fronte all’imbarazzante situazione di una legge di riforma bloccata per mancanza di copertura finanziaria. Una legge - dirà Peroni - che vuole riformare senza fornire i mezzi, e dunque «parlare di diritto allo studio a costo zero equivale a candidare al naufragio qualunque riforma».
Non va meglio in sede locale. Nuove leggi regionali di finanziamento alle università proposte e poi lasciate languire, perché le deleghe sono passate da un assessore (Alessia Rosolen) a un altro (Roberto Molinaro). Il tempo corre, «l’effetto del ritardo sarà irreversibile», per il 2011 il sistema resterà finanziato su base storica, nonostante l’enorme lavoro di integrazione Trieste-Udine, realizzato fin qui senza alcun incentivo. Un’altra disattenzione: si corre, sollecitati a riformare, e quando lo si è fatto gli altri guardano già altrove.
Né è tenero Peroni con le politiche di finanziamento agli enti di ricerca regionali. Il termine è chiaro: si finanziano rendite di posizione, con assetti distributivi «anacronistici» e «a pioggia». Il federalismo universitario? Mera contabilità, senza assunzione di responsabilità politica. I soliti «stereotipi campanilistici, incapaci di prefigurare adeguate risposte alle sfide del mercato globale della conoscenza e del tutto sterili, anzi perniciosi, per le sorti delle future generazioni».
Ma la prima parte del discorso non è questa. Sono i risultati ottenuti. Esposti proprio per marcare la «dimensione intollerabile» - dirà il rettore - dello scostamento tra conservazione degli standard di qualità e endemico processo di «definanziamento». Non si creda, avverte, che esporre l’efficienza renda addirittura «incomprensibile» l’allarme più volte lanciato. È proprio lo scarto che Peroni mette sotto i riflettori, derivandone il messaggio di delusione morale prima che amministrativa.
E dunque, accettato per «prassi democratica» di presentare comunque l’ateneo alla città, i dati che echeggeranno in aula magna sono molti: 1500 dipendenti di ruolo, un bilancio complessivo che supera i 200 milioni di euro, 21.500 studenti (un terzo da fuori regione, oltre 1800 stranieri che resta un record italiano). Sono calati i corsi, da 108 a 71 in quattro anni, ma le immatricolazioni sono stabili: è la formazione che conta più che l’offerta formativa.
Forte l’aggancio internazionale: 450 accordi bilaterali in Europa per l’Erasmus, ora anche rapporti con oltreoceano, quattro i corsi di laurea congiunti con università estere, uno con il Centro di fisica teorica. Avvio di quattro corsi di laurea magistrale interateneo con Udine, 12 corsi di dottorato di ricerca e altrettante scuole (4 milioni e mezzo l’investimento per 270 borse), 33 scuole di specializzazione, 14 master, 6 corsi di perfezionamento.
E poi la ricerca, il «core business», con oltre 2000 persone impegnate, per un valore di ore-lavoro pari a 50 milioni di euro, assegni di ricerca cofinanziati passati da 10 a 29, e borse di dottorato da 40 a 53; settore che mette a segno oltre 1100 pubblicazioni (più della metà di rilevanza internazionale), 81 brevetti depositati, 11 spin-off attivi, università tra le prime 20 per capacità attrattiva di finanziamenti europei, terza nella classifica del Sole 24 Ore, quarta in quella del Censis (ottava lo scorso anno), prima italiana tra le migliori 500 del mondo, una delle 13 in graduatoria fra le 130 europee segnalate dal Centro per lo sviluppo dell’educazione superiore di Gütersloh in Germania.
Nel conto attivo Peroni mette senz’altro anche un paio di successi individuali: la nomina di Maurizio Prato, ordinario di Chimica organica, a socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, e il conferimento, da parte di Barack Obama, del premio ”Pecase” per i migliori giovani scienziati attivi negli Usa a un laureato in Ingegneria a Trieste, Eugenio Culurciello, oggi a Yale.
Deposto in pubblico il bene e il male, Peroni chiuderà con un appello che va oltre i muri dell’università: i 150 anni dell’Unità d’Italia servano per tornare «alle ragioni fondanti delle nostra identità nazionale». È necessario perfino, stante la solitudine denunciata, ritrovare «il senso profondo dell’appartenenza a un comune destino».
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