Il Prosecco made in Trieste sfida le bollicine del Veneto
TRIESTE. Parte dalla periferia la rivincita delle bollicine targate Trieste. E lo fa grazie a tre piccoli, coraggiosi produttori, Andrej Bole, Rado Kocjancic e Tanja Zahar, che superano l’impasse sui vini frizzanti, finora prodotti in zona in quantità risibili, e, soprattutto, lanciano un marchio che ha qualcosa di epocale.
Andrej Bole, da Pis’cianzi, frazione di Roiano, presenterà stasera alle 20 a Dolga Krona, frazione di Dolina vicino a Caresana, il suo Prosecco Trieste, introdotto dall’enotecnico Franco Cernitz. Una notizia attesa da anni perchè, ironia della sorte, proprio la zona che ha permesso la concessione della Doc al Prosecco, con gran beneficio soprattutto di Veneto e Friuli, non aveva mai prodotto una bottiglia con questo nome! «È vero - commenta Bole - è la prima volta che esce con questa dicitura, come da disciplinare. Ho sempre prodotto la Glera e continuerò a farlo, ma sinora come spumantista non avevo tanta esperienza. Un paio d’anni fa avevo incominciato con lo spumante Pis’cianzi Brut, ma era solo una prova, non eravamo in grado di farlo al meglio. Ora, per il momento, sono l’unico ad attenermi ai parametri della Prosecco Doc. In primis perchè si differenzia la quantità d’uva prodotta a superficie: noi non arriviamo neanche a 100 quintali, e con meno metratura aumenta la qualità dello spumante».
Bole non nasconde che c’è anche un minimo di orgoglio di catagoria nel portare avanti questa impresa. «È una sfida personale più che altro, non cambia il mondo se si fanno 10mila bottiglie o se ne fanno poche, ma vogliamo dimostrare che non esistono solo i friulani o i veneti, noi possiamo fare anche meglio».
Dopo anni di nulla, passati tra le fiction targate Zaia, con pseudo-barbatelle piantate sull’asfalto dal governatore veneto, poi seguite dal vuoto pneumatico delle azioni, questo è forse il primo intervento concreto. «Farò 2mila bottiglie - anticipa Bole - perchè abbiamo già una clientela affezionata ai nostri prodotti, Rosso Refosco Doc Carso, Malvasia, Vitovska e Glera. Avevo fatto anche un Prosecco fermo, sei anni fa, ma non entusiasmante. Forse col tempo diventeremo anche spumantizzatori. Bisogna avere delle quantità, per il mercato, ma anche se spumantizzassi tutti i bianchi... La vocazione resta sempre qualle dei vini di qualità, sennò non si sopravvive».
Una filosofia che uniforma anche il lavoro di Kocjancic. A sua volta pronto a presentare la sua, di creazione. «Il mio spumante si chiama Surlì, un termine francese che sta a indicare il vino passato sulle fecce, e comprende due terzi di Vitovska un terzo di Malvasia, tutto rifermentato in bottiglia e imbottigliato e rifermentato in bottiglia con la prima luna nuova di primavera. Da due anni sto producendo tutto in maniera naturale, senza chimica nè diservanti. Uso il rame biologico, bagno con tisane di camomilla, erba medica eccetera. Insomma, una cultura non aggressiva, fatta in modo naturale, come si faceva una volta da noi e a Valdobbiadene... È un metodo champenoise che non fa la sboccatura, usa solo lieviti e una volta frizzante rimane torbido. Produrrò poche bottiglie, quattrocento circa, per provare per la prima volta ad andare in vendita».
Ancora più particolare la terza proposta, perchè qua si entra in un territorio che talvolta fa storcere il naso ai puristi, quello dei Rosè. E sarà proprio uno spumante Rosè da Refosco vinificato in bianco il cavallo di battaglia che esibirà questa sera Tanja Zahar, dell’omonima azienda di Sant’Antonio in Bosco. «Viene lasciato un paio d’ore sulle bucce, per mantenere un minimo di colore e poi spostato. Come azienda siamo nati in realtà come osmiza amatoriale, ma dal 2013 io e mio marito ci siamo messi a fare le cose per bene.
Produciamo Malvasia, ma il primo anno abbiamo ottenuto la Vitovska in purezza, una prima assoluta. Ora abbiamo prodotto circa 500 bottiglie tra Rosè e Vitovska e siamo molto contenti. Abbiamo raccolto prima l’uva per diminuire il grado alcolico, ora prevediamo anche un aumento di produzione. per ora solo territorio. Facciamo piccole cose ma di qualità, tra cui un olio Dop, ma la grande produzione non la faremo mai. Quest’anno, peraltro, abbiamo realizzato il primo trattamento biologico e biodinamico della vigna».
Le premesse, insomma, ci sono, anche se Bole ha un piccolo sassolino nella scarpa. «L’emergenza cinghiali è ben lungi dall’essere finita. Non è che ora che è arrivata la competenza regionale i cinghiali si siano spaventati...Senza decisioni coraggiose non si risolve niente».
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