Il modello Trieste divide Assoporti
TRIESTE. L’esempio vincente del porto che guida, quello di Trieste, a garanzia della validità della recente riforma e come modello di sviluppo da seguire, pur nelle rispettive eccellenze settoriali, da parte degli altri scali italiani. Lo ha portato Zeno D’Agostino nella relazione di apertura, nella sua qualità di presidente, dell’assemblea di ieri di Assoporti definendo definire le linee di sviluppo e le strategie future della portualità italiana.
«Sono tre le sfide-opportunità per i porti italiani che interessano tutto il Paese – ha affermato, specificando che - una delle sfide è la Via della Seta, ma è importante anche il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo nei confronti della sponda Sud che sta risorgendo, con economie e traffici che stanno tornando e su cui i porti del Mezzogiorno possono giocare una partita».
Il terzo tema è «la capacità dei porti di integrarsi con il mondo logistico e manifatturiero che si lega a Porti franchi e Zes (Zone economiche speciali)». Nella sua ultima recentissima visita a Pechino e Shanghai con la delegazione guidata dalla governatrice del Fvg Debora Serracchiani, il presidente ha avuto conferma una volta di più degli appetiti cinesi su Trieste, mentre i Punti franchi, dal Canale industriale all’Interporto di Fernetti che si sta ampliando ai capannoni ex Wartsila, dalle banchine tradizionali al Porto vecchio, stanno attirando gli interessi degli investitori più disparati anche nell’ottica della manipolazione delle merci in regime agevolato.
Ma mai come stavolta nel parlamentino che riunisce i porti italiani si è respirata un’atmosfera di fine legislatura che ha visto lo stesso D’Agostino sottoposto a un paio di attacchi concentrici che lo hanno indotto a dirsi pronto a fare un passo indietro. «Siamo in fase di chiusura di un percorso governativo – ha affermato - dobbiamo vedere quello che è successo in questi anni ma vogliamo soprattutto definire le linee di sviluppo e le strategie future della portualità italiana, abbiamo tutte le carte in regola per farlo. Mai come oggi dobbiamo fare squadra, saluteremo un ministro, una struttura che ci ha aiutato, e non abbiamo molte idee di quello che ci aspetta nel futuro - ha continuato D'Agostino – ma dobbiamo essere in grado di definire dove dobbiamo andare, a prescindere dagli interlocutori politici che avremo nei prossimi mesi».
Ma ecco il punto clou: «Non è che io ci tenga a restare su questa poltrona a ogni costo – ha continuato il presidente dell’Authority triestina - Se gli associati ritengono che ci sia una posizione diversa da quella attuale, e che ci siano i numeri per sostenerla, non è un problema». E ha manifestato la possibilità di convocare un'assemblea fra un mese o quando ci sarà il nuovo governo.
Frasi pronunciate in replica soprattutto a quanto sostenuto dal suo predecessore al vertice di Assoporti, Pasqualino Monti che attualmente guida il porto di Palermo e che ieri non ha voluto prendere la parola. «No, io lo scolaretto sul palco non vado a farlo – aveva preannunciato - Ringrazio l’associazione per l’invito, che peraltro mi è arrivato via email, ma di quei cinque minuti per raccontare cosa penso del Mediterraneo non so davvero cosa farne». E aveva poi specificato: «Non possiamo assumere la legge di riforma come un punto fermo. Dobbiamo avere il coraggio di dire al governo cosa accade sui tempi delle opere, sui tempi di applicazione delle nuove norme, sui tempi dei dragaggi e della burocrazia».
E una diversità di vedute è apparsa anche nei confronti del presidente dell’Authority di Genova-Savona, Paolo Emilio Signorini che ha sostenuto che «la vera partita si dovrà giocare sulla natura degli enti portuali che devono evolvere verso le società per azioni».
«Con una spa potrei forse anche muovermi meglio – ha tagliato corto ieri D’Agostino - ma a me sembra che Trieste stia facendo tante cose con la normativa attuale e oggi l'unica esigenza che sento è che ci venga data, piuttosto, la possibilità di avere la maggioranza nelle società partecipate di logistica e intermodali».
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