Il governo boccia l’off shore di Venezia

Il rapporto del ministero delle Infrastrutture: «Meglio fare arrivare le grandi navi a Trieste». Le controdeduzioni dell’Auhority lagunare
Il progetto del termina on shore (terminal di terra) che dovrebbe sorgere nella laguna veneta (nel rendering)
Il progetto del termina on shore (terminal di terra) che dovrebbe sorgere nella laguna veneta (nel rendering)

TRIESTE. La famosa piattaforma off shore di Venezia da 2,2 miliardi di euro? Piuttosto che costruirla conviene far arrivare le grandi navi a Trieste e trasferire poi le merci su feeder diretti in laguna. Non è l’Autorità portuale triestina a pensarla in questo modo, ma il Governo della Repubblica italiana. La Struttura tecnica di missione (Stm) del ministero delle Infrastrutture scarica una valanga di dubbi sul progetto veneziano e li condensa in diciannove quesiti e varie richiesti di chiarimenti che occupano otto pagine. Come riporta anche il quotidiano “La Nuova Venezia”, la Stm suggerisce «per evitare rischi» di considerare e confrontare «scenari alternativi».

 

L’Europa boccia l’offshore. Venezia: deciderà l’Italia
Il rendering al computer del terminal offshore del porto di Venezia

 

Si specifica che la funzione del porto off shore è già svolta da altri porti del Nord Adriatico, Trieste e Capodistria in testa e che l’accesso al porto veneziano on shore è comunque già garantito perché lo scenario di non navigabilità per la chiusura del Mose è limitato a pochissimi giorni all’anno. Secondo la Stm dunque si può tranquillamente rinunciare alla piattaforma off shore e affidarsi ai trasferimenti da una nave all’altra (“transhipment”) facendo base su Trieste. Si fa rilevare che i costi sarebbero più o meno gli stessi. Il ministero mette anche in rilievo i forti rischi dell’investimento che invece sarebbe minimo puntando sulle infrastrutture a terra dotate di buone accessibilità marittima. E anche in questo caso si cita nuovamente Trieste.

 

 

Le incognite sono una miriade. Dal problema ambientale alla mancata verifica sull’efficacia dei collegamenti ferroviari. Per non parlare di tempi e costi. «Nelle infrastrutture strategiche - rilevano i tecnici del ministero - la differenza di costo tra il progetto preliminare e quello definitivo, anche in forza di prescrizioni, può crescere del 50% e oltre». Occorre dunque riconsiderare il rapporto costi-benefici. Vengono chiesti chiarimenti su come verrebbero garantiti i capitali privati. Dovrebbereo essere 938 milioni di risorse pubbliche ad attrarre 1250 milioni di risorse private. Di questi 938, 135 sono già stati stanziati dal Cipe, altri 533 dovrebbero arrivare sempre dal Cipe, 280 da finanziamenti europei. Un piano finanziario sul quale potrebbe abbattersi la mannaia della Corte dei conti. Di conseguenza la Stm dà anche un suggerimento finale: «Mandare avanti il solo stralcio funzionale del terminal on shore Montesyndial per cui ci sono già i finanziamenti. Infatti, «nel caso di approvazione dell’intero progetto con disponibilità finanziaria ridotta, non si avrebbe con ogni probabilità accoglimento positivo dalla Corte dei conti».

A difendere a spada tratta con le unghie e con i denti l’off shore è rimasto però il presidente dell’Authority veneziana Paolo Costa che ha commentato: «Ragionamenti e domande che dimostrano la totale incompetenza sull’argomento» e, sostenendo di avere cordate di investitori cinesi, ha risposto con cinquanta pagine di controdeduzioni. Dal fronte veneziano l’affondamento della piattaforma off shore viene addebitato alla governatrice del Fvg Debora Serracchiani che conta a livello nazionale e in questo modo favorirebbe Trieste. Contro il faraonico progetto si sono espressi sia il commissario dell’Authority triestina Zeno D’Agostino che il sindaco Roberto Cosolini, ma tra i primi anche Riccardo Riccardi capogruppo in Regione di Forza Italia a testimonianza di un fronte friulgiuliano compatto.

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