Il gioiello che illuminò il golfo per un secolo torna a casa dopo ottant’anni

La macchina di luce installata nel 1833 sulla Lanterna era finita negli anni ’30 al Museo tecnico-navale della Spezia 

TRIESTE Nel centenario della sua fondazione la Sezione di Trieste della Lega Navale Italiana restituisce all’antica Lanterna di Molo Fratelli Bandiera il suo sistema ottico-luminoso originario, custodito dagli anni Trenta nel Museo tecnico-navale di La Spezia ed esposto ora nella Palazzina servizi della stessa Lni triestina. Caratteristica fondamentale per un faro è la luce da esso irradiata: ecco, dunque, la basilare necessità per la Lanterna di avvalersi di una macchina luminosa alla portata della sua struttura, entrata in funzione nel lontano 1833.

L’apparecchio ottico infatti, apposto sulla sommità di quella che può essere considerata un esempio di Torre Massimiliana, è alto oltre due metri e pesa circa 400 chili. Il complesso fu operativo con i primissimi sistemi di illuminazione ad olio e aveva una portata luminosa di ben 15 miglia (quasi 26 chilometri). Con un ingegnoso meccanismo costituito da tendaggi, che oscillava davanti alla lampada ogni 30 secondi, si realizzò quella luce ad intermittenza – il cosiddetto “lampo” – che caratterizzail classico funzionamento di un faro e che permette ai naviganti di valutare le distanze dalla costa. Successivamente, con il progresso tecnologico, per aumentare la qualità e l’intensità visiva del bagliore, dal 1860 funzionò a petrolio e dal 1926 con l’energia elettrica.

Il corpo luminoso della Lanterna è costituito da un’ottica rotante, che cattura la luce prodotta attraverso un complesso sistema di lenti in vetro, spesse cinque centimetri. Per simulare un dispositivo ottico più grande venne utilizzato il sistema di Fresnel, che prevede molteplici superfici rifrangenti, molto simili a un gruppo di piccoli prismi e che sono caratterizzate da un’ottima capacità di raccolta della luce. L’ottica rotante è in galleggiamento su una superficie di mercurio.

La ragione? Strategia ingegneristica: l’attrito opposto alla rotazione in tale condizione è infatti quasi nullo e permette, anche fornendo a mano una minima spinta all’ottica. Si può ben comprendere dunque, come basti un piccolo motore elettrico per ruotare un macchinario di qualche centinaio di chili.

Per quanto riguarda il meccanismo che lo aziona invece, esso è simile a quello degli orologi da torre: l’orologeria a peso motore veniva ricaricata manualmente tramite una manopola, procedendo così nel sollevare il fardello, che attaccato all’estremità della macchina, avrebbe ripercorso verticalmente tutta la lunghezza del faro, consentendo la rotazione gravitazionale di tutto il sistema per tutta la notte.

L’apparato, del valore stimato di 40 mila euro, è stato smontato alla Spezia, trasportato e riassemblato a Trieste dallo stesso presidente della Sezione della Lega Navale Pierpaolo Scubini: «Abbiamo avuto l’opportunità, grazie all’Ammiraglio Lazio, di poter riportare qui la storica macchina di luce, consentendo alla nostra Sezione di celebrare al meglio il centenario della sua fondazione, che cadrà il 2 marzo 2019». —


 

Argomenti:lanternamusei

Riproduzione riservata © Il Piccolo