Il Coroneo scoppia: 150 posti per 230 detenuti

Materassi a terra, forti tensioni. Sbriglia: scarseggia anche la carta igienica
Materassi ammassati sul pavimento, a divorare anche il minimo spazio vitale. Uomini con il morale sotto i tacchi, psicologicamente fragili e talvolta vinti dalla tossicodipendenza, costretti a convivere in celle che di detenuti dovrebbero ospitarne la metà. Fisici debilitati dalle malattie a corto di assistenza medica. E una tensione latente, accompagnata da un elevato tasso di multietnicità compresso in pochissimo spazio, che rischia di tradursi in violenza contro gli altri e/o contro se stessi.


L’EMERGENZA
Dal di fuori passerà pure inosservato, eppure anche il carcere triestino di via del Coroneo - come la gran parte delle patrie galere - è ormai un bubbone che scoppia, per effetto di una media quotidiana di ”ospiti” superiore alle 230 unità. Un terzo in più della tenuta standard teorica - 150, 155 persone al massimo - calcolata in occasione dell’ultima ristrutturazione. Un’inflazione di ingressi che non viaggia di pari passo con le risorse a disposizione del carcere stesso che rappresenta lo Stato, il soggetto ”moralizzatore” garante della dignità della persona, e che oggi si trova a corto di materiali per la manutenzione strutturale, di dottori, di psicologi. E persino di carta igienica e bagnoschiuma.


L’ALTRA FACCIA
Va da da sé che se per i detenuti la permanenza in via Coroneo è insostenibile, anche gli agenti di polizia penitenziaria si ritrovano a dover onorare un lavoro più difficile, tecnicamente e umanamente, di quanto esso sia già in condizioni di ordinaria amministrazione.


L’APPELLO
E infatti lo stesso direttore della casa circondariale, Enrico Sbriglia, davanti a quello che definisce «un mal comune delle carceri, ma senza il mezzo gaudio», si augura almeno che «la Regione, titolare di importanti azioni di formazione professionale, rivolga la massima attenzione alla formazione del nostro personale, che pur lavora già con buonsenso e ragionevolezza, per metterlo nelle condizioni di rapportarsi sempre meglio con i detenuti, con la dovuta psicologia nei confronti di chi si trova in una posizione di debolezza e talvolta d’instabilità, perché già di base nessuno prova piacere a tenere in gabbia la gente. Qui formazione significa anche sicurezza».


LA LETTERA
Che dentro il Coroneo «si vive male», riproponendo un problema che già si sapeva critico, lo testimonia una lettera scritta a penna in una cella, firmata Andrea D., datata 4 aprile e arrivata nei giorni scorsi al Piccolo. «La cosa più urgente - si domanda il detenuto - è la sanità, ovunque uno si trovi, giusto? Ecco, è da circa un mese che non siamo tutelati per la mancanza di dottori e infermieri, che dovrebbero esserci per almeno dodici ore al giorno. Purtroppo ci sono persone con problemi psichici seri, che non assumendo i medicinali ricorrono a gesti purtroppo estremi come il tagliarsi, o impiccarsi. Ricordo che a dicembre un giovane recluso è morto sucida col gas e nessuno ha fatto niente. In questo carcere - prosegue Andrea D. - non c’è una palestra, né sono previste attività sportive per farci sfogare. Venti ore chiusi in cella, e celle da dieci persone o cinque con materassi a terra. La situazione è invivibile! Io mi auguro che qualcuno faccia qualcosa perché non si può andare avanti così. Ricordo - chiude l’autore della lettera - che l’espiazione della pena dovrebbe reinserire la persona che ha commesso un errore e non privarlo dei diritti civili. È giusto pagare ma in maniera dignitosa».


LE DISEGUAGLIANZE
«Le lamentele del detenuto - ammette Sbriglia - non sono prive di fondamento. In questo momento registriamo numeri ben maggiori di quelli che avevamo alla vigilia dell’indulto. Scontiamo poi una distribuzione talvolta irregolare tra sezioni, che accentua la percezione di sofferenza. Penso a quella maschile dove ci possono stare solo gli uomini, a quella degli indagati dove ci possono stare solo gli indagati, all’infermeria dove ci possono stare solo gli ammalati e a quella femminile dove ci possono stare solo le donne e che, per paradosso, presenta ancora dei posti disponibili, ma lì non ci posso mica mettere gli uomini. La conseguenza è che si prefigura un peggioramento rilevante delle condizioni di vita dei reclusi, dai servizi igienici al vitto, dall’assistenza sanitaria al mero spazio di movimento. Chiunque può immaginare che succederebbe a casa sua se, di colpo, si ritrovasse il doppio delle persone nella stessa metratura, e con gli stessi servizi».


LE SOLUZIONI
«Allo stato attuale purtroppo - aggiunge Sbriglia - soluzioni non se ne possono immaginare. Mica possiamo chiedere alle forze dell’ordine di fermarsi e non indagare, o ai magistrati di non condannare chi viene riconosciuto colpevole. Stiamo cercando, quello sì, di rispondere all’emergenza con soluzioni tampone in tempi velocissimi. È il caso della nuova camerata da dieci che ospita ora i semiliberi, quelli cioè che escono al mattino e rientrano alla sera. Questo ci ha consentito di evitare che un numero eccessivo di detenuti continuasse a dormire col materasso steso per terra».


SENZA RISORSE
«Inoltre - conclude Sbriglia - abbiamo messo apposto di recente diversi rubinetti, servizi igienici e citofoni che necessitavano di manutenzione. Ci mancano invece i materiali per ritinteggiare le pareti, che renderebbero un po’ più dignitose le stanze. Se ci arrivasse qualcosa da fuori, dagli stessi cittadini, dalla carta igienica ai prodotti per la pulizia personale, saremmo loro grati. Sono tutte cose che dovremmo acquistare, ma se non abbiamo risorse adeguate dobbiamo appoggiarci per forza ad aiuti esterni. Riceviamo ad esempio una mano importante dalla Caritas e ci sono anche diversi imprenditori che, senza apparire, girano ai volontari che operano nel carcere cose e materiali utili alla vita dei detenuti. Sono un po’ le nostre ronde. Ronde alternative».
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