Il cibo che sprechiamo costa 400 euro a famiglia
GORIZIA. Ogni anno vengano buttati beni alimentari per un valore di circa 8 miliardi di euro, mentre le tonnellate di prodotti agricoli che rimangono nei campi sono 1,3 milioni.
Tutto questo finisce nei rifiuti, eppure potrebbe ancora essere utilizzato e potrebbe sfamare centinaia di migliaia di persone indigenti.
I dati dell'osservatorio Waster Watcher presentati dal Partito democratico in occasione dell'incontro "No allo spreco alimentare" organizzato ieri a Gorizia indicano che a livello nazionale il cibo sprecato costa almeno 400 euro a famiglia ogni anno.
La questione si muove quindi su diversi piani: tocca quello ambientale, quello economico, ma anche quello etico e quello sociale. Nonostante ciò, del tema si conosce poco. Non tutto ciò che si butta via è rifiuto. Anzi, in molti casi ciò che si butta è ancora buono e può essere recuperato.
Fino allo scorso anno c'era però un limite legislativo. Il limite è stato superato con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge 166/2016. In 18 articoli il testo proposto dalla deputata democratica Maria Chiara Gadda disciplina, nei fatti, il "dono". E non soltanto del cibo.
Il fine generale della legge è proprio la riduzione degli sprechi per ciascuna delle fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e somministrazione siano essi prodotti alimentari, farmaceutici o di qualunque altro genere, come ad esempio gli abiti.
Nonostante questa vastità, ieri a Gorizia, l'attenzione si è concentrata sul cibo. «Oggi si spreca un po' di tutto», ha spiegato Gadda ricordando che in tutta Italia esistono realtà (anche ultracentenarie) che si occupano del recupero delle eccedenze.
«La legge parte da lì e da una parola che abbiamo rimosso dal vocabolario e dalla politica come se appartenesse a un altro spazio e a un altro tempo: povertà. Il tema della povertà, invece, fa parte delle nostre città. Dobbiamo quindi recuperare le eccedenze con questo fine: ridistribuire i prodotti buoni, sani e consumabili prima che diventino scarti».
La legge si inserisce in un quadro normativo complesso e si occupa di una fase del processo di vita delle merci in cui i prodotti sono ancora buoni. Non a caso le parole "scarto" e "rifiuto" non sono contemplate.
«Per dare risposte efficaci dobbiamo capire chi spreca, quanto spreca e perché spreca - ha aggiunto Gadda -, ma questo è solo il 50% del problema. Resta poi l'altro 50% che riguarda lo spreco domestico». In un'epoca di consumismo sempre più spinto non si guardano più i dettagli, così, definizioni tra loro differenti spesso finiscono per assumere significati identici.
«Data di scadenza» non coincide, infatti, con il termine minimo di conservazione». La data di scadenza è indicata negli alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico ed è il limite oltre cui i prodotti sono considerati a rischio e non possono essere né consumati, né trasferiti.
Il Termine minimo di conservazione, invece, è una data indicativa oltre la quale il prodotto potrebbe perdere alcune delle caratteristiche che lo rendono appetibile dal punto di vista commerciale (come la fragranza), senza però pregiudicarne il consumo.
In questo caso, se l'imballaggio è integro e le condizioni di conservazione sono state idonee può essere consumato o ceduto. «Questa legge funziona solo se tutti noi ci prendiamo le nostre responsabilità», è stato l'invito finale di Gadda che ha ricordato come al momento in Italia si recuperino solo 550mila tonnellate di alimenti all'anno.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo