Il capo dell’ultradestra da imputato all’Aja a “giudice” nel reality

Già sotto processo per crimini contro l’umanità, Šešelj si è presentato con la toga in un popolare programma tv

Da fautore dell’idea della Grande Serbia alla sbarra degli imputati del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpi). Fino a una controversa tappa in tv, come “giudice” in un reality show, vestito in maniera molto simile a quella di un togato della Corte dell’Aja. Per farsi beffe - e neanche troppo velatamente - del Tribunale. A Belgrado sta facendo assai discutere lo sbarco sul piccolo schermo di una delle “anime nere” della politica nazionale, Vojislav Sešelj, ex vicepremier e leader storico del Partito radicale serbo, 8% alle ultime elezioni, 22 seggi in Parlamento, trascorsi da ultranazionalista nei bui Anni Novanta, undici anni passati in una cella dell’Aja in attesa di giudizio per crimini contro l’umanità prima di venire assolto in primo grado nel marzo 2016. Sešelj, da sempre celebre per i suoi atteggiamenti sopra le righe, sta facendo di nuovo parlare di sé dopo essere entrato nel seguitissimo reality “Zadruga”, sorta di Grande Fratello trash che va in onda su uno dei canali più popolari nel Paese, la Tv Pink, filogovernativa e guidata dal chiacchierato tycoon Zeljko Mitrović.

Non è la prima volta, per Sešelj, che aveva fatto un paio d’anni fa una comparsata in un altro show, “Farma”. Ma adesso Sešelj si è presentato in trasmissione come giudice, camuffato con una toga che richiama quella dei magistrati del Tribunale dell’Aja. Per il cammeo ha ottenuto «centomila euro», come ha rivelato lui stesso al quotidiano Kurir. La sua partecipazione si è limitata a qualche provocazione.

«C’è qualche bandiera Ue in giro? Devo saperlo per capire se devo bruciarla», ha detto con una battuta. Poi ha svolto il “compito” assegnatogli, quello di giudice in una decina di diatribe tra i concorrenti, in una serata in cui è salito alle stelle lo share di uno “spettacolo” che, fino a qualche giorno fa, ha visto concorrere tra gli altri un sospetto uxoricida, arrestato il giorno prima dell’apparizione di Sešelj, nonché ragazze poco vestite. È solo «un pagliaccio», lo ha attaccato la deputata Sanda Rasković Ivić, ex ambasciatrice serba in Italia: una posizione per la verità condivisa da tanti nel Paese, inclusi molti supporter radicali. Impossibile comprendere cosa abbia spinto Sešelj a esporsi in questo modo, se lo abbia fatto per soldi o solo per raccogliere qualche consenso tra gli spettatori di “Zadruga”.

Certo è che l’ultranazionalista serbo dovrebbe avere ben altri pensieri per la testa. E molto più seri. Ieri il Tpi ha chiesto al leader radicale serbo se abbia o meno intenzione di presentarsi all’Aja per un’udienza in cui si discuterà se dare luce verde al processo d’appello a suo carico, possibile dopo che la Procura aveva presentato nell’agosto 2016 ricorso contro l’assoluzione del leader radicale. Obiettivo, ribaltare la sentenza di primo grado, con la pronuncia di una condanna per colui che due decenni fa soffiò sul fuoco della violenza e della pulizia etnica in Croazia e in Bosnia-Erzegovina. Richiesta alla quale Sešelj aveva già risposto in passato, assicurando di «non avere intenzione» di presentarsi «volontariamente» di fronte alla Corte in Olanda per alcun procedimento.

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