Il branzino piranese dei fratelli Fonda: dagli studi in biologia all’azienda di famiglia
PIRANO Si può produrre cibo in modo sostenibile? Può un allevamento funzionare nel rispetto della natura? La risposta affermativa arriva dal largo della costa di Pirano, con Irena e Lean Fonda. Nell’angolo più meridionale del mare sloveno, proprio dove Lubiana e Zagabria si contendono il confine marittimo, i due fratelli gestiscono da quasi vent’anni un’attività di itticoltura sostenibile: in altre parole, allevano branzini senza usare prodotti chimici, inseguendo il sogno lasciato in eredità dal loro padre. «Quando eravamo piccoli papà ci spiegava tutto, qualsiasi animaletto, qualsiasi pianta... Era un biologo e un sommozzatore professionista, scendeva sott’acqua praticamente ogni giorno», ricorda Irena.
Un passo indietro. Siamo nei primi anni Ottanta e Ugo Fonda (1947-2010), membro della minoranza italiana in Slovenia, si è messo in testa di creare un parco subacqueo al largo di Pirano. «Vedeva che in Adriatico c’erano sempre meno pesci grossi e che l’habitat marino si stava impoverendo. Per questo aveva deciso di creare per loro un rifugio, un luogo protetto da barriere artificiali», prosegue Irena Fonda. Ma realizzare quell’idea, quarant’anni fa, è impossibile: mancano la legislazione che lo permetta, gli sponsor per iniziare i lavori e anche la sensibilità ambientale del pubblico, che si svilupperà solo nei decenni successivi.
I “no” dell’amministrazione pubblica sono ripetuti. Il progetto viene accantonato. Fonda cambia obiettivo. Nel 2003 avvia un allevamento ittico, ma con l’impegno di non usare agenti chimici e di fare tutto a mano. A quel punto, sia Irena che Lean sono ormai adulti e hanno terminato gli studi all’università: entrambi in Biologia, malgrado la contrarietà del padre. «Ci diceva che non avremmo mai trovato un lavoro, ma per noi è stata una scelta naturale», spiega Irena, che, dopo le scuole in lingua italiana e la laurea e il dottorato in biologia molecolare, ha lavorato per anni nella ricerca contro il cancro, prima di unirsi all’azienda di famiglia nel 2007. Il passaggio dall’idea alla realizzazione si rivela infatti più difficile del previsto e serve allora l’energia di tutta la famiglia.
«I pesci hanno un ritmo di crescita lentissimo. Un pulcino diventa un pollo pronto per la vendita in appena 42 giorni, ma per un branzino ci voglio 3-4 anni», spiega Irena Fonda. Non volendo fare ricorso ai prodotti chimici, in particolare agli agenti anti-vegetativi che impediscono la crescita delle alghe, i tre biologi-itticoltori devono regolarmente pulire le reti per assicurare il ricambio dell’acqua. Ma lo scoglio è poi quello del mercato. «Pensavamo che la gente avrebbe riconosciuto subito la qualità dei nostri pesci e che sarebbe stato facile venderli. Oggi mi appare perfettamente chiaro quanto eravamo ingenui», ricorda Irena. Il primo distributore che contattano in Slovenia offre ai Fonda un prezzo stracciato, inferiore persino al costo dei mangimi.
Tra mille difficoltà, i branzini vengono allora venduti nei primi anni quasi esclusivamente in Italia, perché «in Slovenia la cultura del pesce era sottosviluppata». Ma per i Fonda si tratta di una sconfitta: le esportazioni comportano un trasporto e dunque un inquinamento maggiore. Pian piano, la famiglia capisce che il segreto sta nella comunicazione: bisogna spiegare com’è allevato il pesce. «Quando andiamo al ristorante, riceviamo sempre una carta dei vini, in cui si parla di terroir e si raccontano i produttori... Ma per il cibo, malgrado i progressi, ci accontentiamo ancora di espressioni generiche come “manzo argentino”. In realtà, il modo in cui un cibo è prodotto è importantissimo», puntualizza Irena Fonda.
È l’inizio del cambiamento. Il piccolo allevamento di Pirano inizia a farsi conoscere, riceve dei premi, attira l’attenzione della stampa locale. Il “branzino Fonda” è il primo pesce allevato al mondo ad avere un nome e un’impresa alle spalle che osi parlare di merroir, raccontando la storia e le caratteristiche dell’Alto Adriatico e del Golfo di Pirano.
Nel 2009 c’è il primo ristorante che mette il “nome” del pesce nel menù ed è come se una grande ruota iniziasse finalmente a girare. «I clienti ci chiamavano, volevano venire a vedere come lavoravamo. Abbiamo dovuto organizzare le visite, iniziare a fare turismo educativo», ricorda Irena. La famiglia compra un piccolo battello a energia solare con cui guidare le comitive, mentre la lista dei clienti si allunga.
Oggi Fonda è un’impresa familiare che dà lavoro a 14 persone (25 se si considerano i collaboratori stagionali) e che produce ogni anno tra le 50 e le 80 tonnellate di pesce, venduto al dettaglio. La Slovenia è il mercato principale, anche se il 2020 - con la chiusura prolungata dei ristoranti - ha rimescolato un po’ le carte, facendo emergere i clienti austriaci e, in misura minore, quelli italiani. «Rimaniamo una piccola boutique rispetto agli altri produttori di pesce», afferma Irena, che spiega come il principale itticoltore croato realizzi in un giorno quanto i Fonda fanno in un anno. La soddisfazione più grande però non sta nella produzione, bensì nell’essere riusciti a parlare di sostenibilità, contribuendo a diffondere nuove (e migliori) pratiche alimentari dentro e fuori i confini della Slovenia.
E della frontiera che solca il mare, a qualche metro dal proprio allevamento, cosa ne pensano i Fonda? «Tutti in famiglia siamo contrari ai confini», risponde Irena con decisione, «non abbiamo mai avuto problemi con i vicini croati e per noi l’Istria è una regione unica». —
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