«I dehors da evitare nel centro città»
Poco ma sicuro, non tira buona aria nelle Soprintendenze. Un ufficio di Palazzo Economo è sotto assedio perché lascia andare alla malora il parco di Miramare, un altro è sotto assedio perché lo si accusa di fare troppo (o troppo poco) sulle pratiche urbanistiche. Maria Giulia Picchione, il nuovo soprintendente ai Beni architettonici e paesaggistici, con un curriculum che sembra un “palmares”, in poco più d’un mese ha raggiunto un record: contestata dal Comune, dalla Regione, da parlamentari, dagli Ordini professionali. Non si piega, ma si indigna: «Ho smaltito in un mese 1000 pratiche arretrate, e nessuno ha alzato un dito per difendermi». L’architetto si difende da sè. E ne ha davvero per tutti.
Architetto Picchione, come mai tanti strali su di lei?
Se la prendono con me, ma quando a luglio sono arrivata qui c’era un arretrato di quasi 6 mesi. Il posto vacante non era stato mai coperto, non era stato nominato un delegato, un sostituto, niente. E così una marea di pratiche urbanistiche e paesaggistiche rimaste sul tavolo è andata avanti in forza del “silenzio-assenso”. Di fatto senza controllo. Io da luglio ad agosto ho smaltito tutto. E le carte le guardo, diversamente da come accadeva prima. Ho subìto attacchi ingiusti, e né il ministro, né il direttore regionale hanno reagito. Nessuno ha aperto bocca. Sono sbalordita, e dispiaciuta.
Lei sta dicendo prima non si analizzavano i progetti?
Solo il 5% delle pratiche paesaggistiche veniva esaminato. Il resto, approvato con “silenzio assenso”. In tutta la regione, e anche a Trieste.
Cioé senza un parere?
Certo. Per questo dico che, se tanto mi criticano, i motivi sono ben altri. Ora non si lasciano più scadere le pratiche. La tutela viene esercitata.
Le hanno contestato anche la scarsa apertura al pubblico del suo ufficio.
Dappertutto funziona così, se lavori non puoi essere continuamente interrotto. Per questo voglio anche attivare un Ufficio relazioni col pubblico. Ma c’è una forte criticità degli organici, io l’ho denunciato, il ministro lo sa. Per 218 Comuni abbiamo solo 6 architetti. Due sono “in comando”, uno in Abruzzo e uno al commissariato speciale dei rifiuti per la Calabria... Ho chiesto il loro rientro e un rinforzo di 7 professionisti e non li ho avuti. Qui non c’è direttore amministrativo, non c’è personale tecnico, quando sono arrivata non c’era neanche un protocollo informatizzato delle pratiche.
Che cosa significa?
Che i fascicoli erano accatastati, non c’era modo di sapere se una pratica era arrivata o no, e a che stadio era. Io, in un mese, ho fatto anche questo: data di arrivo, responsabile del procedimento, stato di avanzamento, data di scadenza. Ogni cittadino adesso può vedere in che giorno è stata registrata la sua richiesta. E certo non le lasceremo più scadere. Così dovrò fare per l’archivio, adesso bisogna scartabellare a caso. In sostanza è molto problematico trovare i precedenti di un progetto.
Lei dice che ha ragione su tutto. Ma in Consiglio regionale c’è più di una interrogazione sul suo operato.
E io le rispondo che proprio la Regione ha un grosso problema. Non ha mai prodotto il Piano paesistico. Dunque non c’è alcuna certezza paesaggistica né per i privati, né per i Comuni. Se ci fosse il piano, ogni procedimento sarebbe più veloce. E questa è una responsabilità della Regione, non della Soprintendenza. Potevano supplire invece di protestare, e farsi il Piano paesistico, in assenza del quale a maggior ragione occorre valutare ogni caso di per sè, tenendo ferme le esigenze di tutela, perché il paesaggio va tutelato.
In Lazio, dove lavorava lei, c’è maggior tutela?
Molto di più rispetto a qui.
C’è una pressione per “regionalizzare” le Soprintendenze. Tecnicamente, lo ritiene possibile?
No, i beni culturali e paesaggistici sono materia dello Stato, secondo il dettato costituzionale. Per rendere le Soprintendenze regionali serve una riforma della Costituzione.
Si dice che non è venuta volentieri a Trieste. Sarà vero?
Quando ho vinto il concorso ho messo come prima opzione il Lazio, ma poi il ministro per decreto mi ha indirizzata qui. E mi va bene, sono una gran lavoratrice, resto in ufficio fin oltre le 21 (poi mi accusano anche di trattenere le chiavi...), sto incontrando sindaci e associazioni, facendo sopralluoghi, anche in Friuli. Me se il ministro mi ha fatto un decreto specifico, il ministro mi dovrebbe poi anche difendere...
A Trieste lei ha già segnalato al Comune che i “dehors” di bar e ristoranti non vanno bene. Qual è il motivo?
Il Comune ha intenzione di presentare un regolamento, e come è stato fatto a Udine credo che i “dehors” siano da evitare in centro città. Lo dice il Codice dei beni culturali.
Non saranno felici gli esercenti che li vogliono, mentre la questione non è ancora risolta nel suo complesso.
I “dehors” non devono essere chiusi, non devono avere una volumetria che occluda la visibilità. A Trieste in centro storico si fa ormai lo slalom fra le strutture aggiunte. Non va bene. Il cittadino ha il diritto, tutelato, di poter fruire dello spazio urbano, sia nella percorribilità e sia nella visione aperta.
E i gazebo già installati?
Dovrebbero essere rimossi. Il Comune dovrebbe esigerlo. Bisogna renderli compatibili con le esigenze di tutela dei centri storici. Ho visto piazza Unità: da una parte ci sono ombrelloni per i tavolini del bar (e va bene, non toccano la parete di un edificio storico, sono rimovibili), dall’altra un gazebo in metallo...
Conosce la polemica scoppiata sui vecchi masegni finiti venduti, o in magazzino?
Non esattamente, ma i materiali originali si cerca sempre di conservarli. Così è stato fatto molto bene a Udine, per via Mercatovecchio.
Sul Canale del Ponterosso planerà a fine anno un nuovo, e molto discusso, ponte-passerella. Le sta bene?
Non ho ancora visto il progetto, ma io che cosa farei? Riporterei il canale fin sotto la chiesa di Sant’Antonio, come in origine. Anche per ripristinare lo straordinario rapporto con l’acqua della città.
Almeno su questo si sarebbe trovata d’accordo con chi l’ha preceduta.
Davvero? Mi fa piacere.
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