I 90 anni di Giuseppe Zigaina

Il grande artista celebra il compleanno con una mostra a Cervignano. «Lavoro pensando sempre al futuro»

di Margherita Reguitti

Il prossimo 2 aprile il maestro Giuseppe Zigaina compirà 90 anni, un traguardo importante: «Sì, una cifra tonda. Il tondo è bello», afferma laconico, un sorriso più nella voce che nel volto. Per lui intellettuale nel senso più completo del termine, il linguaggio nelle forme di segno e parola è ambiguità e vita. Pittore e scrittore, protagonista del neorealismo, apprezzato in tutto il modo, indaga la realtà e l’uomo, svelandone le profondità psichiche e oniriche, anche le più nascoste.

Il suo compleanno verrà celebrato con una grande mostra di acqueforti che sarà allestita a Trieste nella sede del Consiglio regionale e poi diventerà itinerante, prima a Cervignano, paese natale, dove vive e lavora, e poi nella stamperia di Corrado Albicocco a Udine. Un progetto corredato da un significativo catalogo con testi inediti, in forma epistolare di Claudio Magris, accanto a un saggio critico di Francesca Agostinelli e uno scritto dello stesso artista. Oltre cento pagine con riproduzioni di opere e foto inedite di Danilo De Marco.

Il percorso espositivo sarà composto da 65 grafiche, realizzate in 35 anni di attività, dal 1970 al 2005. Incisioni di formati differenti, sette delle quali di grande dimensione, scelte in quanto rappresentative dei temi e dei soggetti che segnano il nucleo creativo dell’artista.

«In questo momento, racconta Zigaina, sto lavorando anche ad altre due mostre, sempre di grafiche, che si terranno in primavera a Berlino e Monaco di Baviera».

La sua casa di Cervignano, da lui progettata negli anni Cinquanta, poco lontano dall’abitazione dove nacque nel 1924, è il suo punto di osservazione sul mondo. Varcando il cancello giallo si percepisce che lo spazio ha valore nel luogo dove il maestro vive. La sua abitazione, nella sua articolazione e complessità di edifici diversi circondati da prati verdi e alberi, ne rappresenta la personalità. Rustica e raffinata allo stesso tempo, spazi vasti e equilibrio di forme. «Mi segua nel mio studio dove possiamo parlare con calma, qui io lavoro tutti i giorni, è il mio guscio protetto, fatto di tanti elementi, sale e salette, scale e angoli». Alle pareti incisioni, dipinti e migliaia di libri. «Cerco di tenere in ordine, ma non è facile. Qui ci sono almeno 10 mila volumi, in lingue diverse, saggi, romanzi, cataloghi d’arte e di fotografia. Ma anche libri miei: negli anni ho scritto molto, solo su Pier Paolo Pasolini ho pubblicato una ventina di testi. A un certo punto della mia vita ho sentito l’esigenza di esprimermi non solo con il segno ma anche con la parola».

Cosa le piace raccontare?

«Quello che ho dentro in forma ossessiva. La storia di mio padre il cui volto massacrato di segni appare nei cieli dei quadri. Lui che mi diceva che di pittura non si mangia, mentre mia madre mi incoraggiava e mi comprava colori per disegnare già quando ero alle elementari. Racconto la mia stramberia, che lentamente è diventata ricchezza e mi ha portato soddisfazioni, creando anche la cifra del mio linguaggio. La mia diversità che, sin dal primo incontro nel 1946 con Pasolini a Udine alla vernice di una mostra di autoritratti, ci ha messi l’uno di fronte all’altro, facendoci vivere in modi diversi, senza mai diventare una relazione di sesso: “Te piasen le femine”, mi diceva, io infatti ho sempre amato le donne».

Quanto ha inciso suo padre nella sua formazione?

«Mio padre mi incoraggiava ad andare di notte per il mondo, per scoprire quello che nessuno vedeva. Io uscivo nel buio con una bicicletta e incontravo personaggi e paesaggi strani che mi impressionavano. Immagini forti che poi entravano nei miei quadri».

Che senso ha la diversità oggi per un artista?

«Il prevalere del dominio del denaro appiattisce oggi la qualità del lavoro, della creazione originale. È il mercato che fa l’opera importante in quando vendibile. Basta guardare la televisione, tutto noioso, tutto uguale. Un tempo la guardavo, perché la trovavo curiosa, mi interessava da un punto di vista estetico e di novità. Oggi mi serve per dormire».

Come guarda al futuro?

«Una domanda curiosa questa, è la prima volta che me la fanno! Lavoro pensando sempre al futuro che è la mia fine. La considero una cosa bella e brutta allo stesso tempo. Imminente e lontana, fa parte della vita mia e degli altri. Come chiedersi se piace vivere, la risposta è ambigua e la domanda è la stessa, fatta con parole diverse. Il mondo e le relazioni con gli altri sono semplici o complicate e spesso c’è fraintendimento».

Quali sono gli autori che ama?

«Sin da bambino erano affascinato dagli scrittori stranieri Freud e Jung mi hanno sempre interessato per i loro argomenti e linguaggi, per me non difficili, né per la lingua né per i contenuti. Ancora conservo quei libri tradotti di quando ero giovane. Ma oltre ai saggi ho sempre amato la narrativa che è il modo fondamentale di comunicare. Da ragazzo avevo pochi testi stranieri tradotti in italiano ma poi sono stato in grado di leggere in francese, tedesco, inglese e spagnolo. Fra i miei preferiti gli scrittori russi come Dostoevskij, un grande fra i grandi».

Cosa sta leggendo in questi giorni?

«Sto rileggendo le mie cose, pensi che in due mesi ho bruciato 200 pagine. Scrivo molto e mi rendo conto che è difficile rileggere e non essere tentato di fare modifiche. È un lavoro continuo. Il linguaggio non è un’esperienza ma per me, come per Pasolini, è necessario per vivere capendone il valore, il fascino e l’ambiguità. Tutto il lavoro dell’arte, la sua potenza, si fonda sull’ambiguità nel senso poetico e estetico. “Posso scrivere solo profetando, nel rapimento della musica per eccesso di seme”, così scriveva Pasolini nella lirica “Una disperata vitalità”. La poesia in particolare è di per sé ambigua. La parola come l’immagine può avere valore e senso diversi».

Perché ha deciso di vivere a Cervignano e non in una grande città, lei che fatto mostre e viaggiato in tutto il mondo?

«Nel 1950 fui invitato a esporre alla Biennale di Venezia. Quando sono arrivato tutti parlavano di me. Mi conoscevano anche se arrivano da un piccolo centro. Dopo la mostra sono rientrato, e dal treno ho visto la bellezza della pianura, capendo che qui volevo vivere e lavorare. In macchina ho viaggiato molto, in tutta Europa e in America, anche quando era difficile durante la guerra. In Russia ero conosciuto e avevo i visti per andare ovunque. Là ho incontrato la grande musica?».

Quale musica?

«Amo ascoltare la musica popolare russa e in particolare i cori maschili, così potenti e suggestivi. Sono la colonna sonora mentre lavoro».

Sarà presente alle prossime mostre a Berlino e Monaco? «Certamente sono a due passi. Vado volentieri in Germania, dove da sempre apprezzano la mia opera pittorica dedicandomi mostre importanti. Ma non solo! Pensi che per primi gli intellettuali tedeschi hanno riconosciuto la mia teoria del suicido rituale di Pasolini e della mia interpretazione del linguaggio criptico delle sue opere. Per questo mi hanno assegnato l’alta onorificenza di accademico di Germania, mentre qui gli intellettuali contestano senza motivare la mia interpretazione».

Che rapporto ha con la tecnologia?

«Buono, uso il computer ma bisognerebbe avere tre braccia non uno. Lavoro e il mio sguardo gode del verde del giardino, uno spazio senza ostacoli, solo nel centro una grande ancora di 35 quintali che mi ha regalato un amico armatore».

Cosa farà il giorno del suo compleanno?

«Lavorerò, le solite cose con la mia famiglia, con mia moglie Maria. E poi certo andrò a vedere le mie opere in mostra».

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