Gas, petrolio e pugno di ferro le carte vincenti del Cremlino

Putin, con il greggio alle stelle, ha le risorse per l’ennesima modernizzazione mentre amplia la sua influenza dalla Serbia all’Iran grazie alle difficoltà di Usa e Ue
15 Sep 2005, New York State, USA --- Russian President Vladimir Putin delivers a speech at the opening of the "Russia!" exhibition at the Guggenheim Museum in New York. --- Image by © Panov Alexei/ITAR-TASS/Corbis
15 Sep 2005, New York State, USA --- Russian President Vladimir Putin delivers a speech at the opening of the "Russia!" exhibition at the Guggenheim Museum in New York. --- Image by © Panov Alexei/ITAR-TASS/Corbis

Chissà, magari a Vladimir Putin il mare d’inverno visto da piazza Unità ricorderà quello della natia San Pietroburgo e similmente la prospettiva chiara dei palazzi. Così lontani e in qualche modo così vicini. I carteggi dei diplomatici parlano doverosamente di cooperazione economica e cooperazione politica, ma nei secolari rapporti tra Italia e Russia il “quid” è molto più profondo. Un’attrazione che ha resistito a crolli imperiali, dittature, guerre roventi e freddissime affrontate su alleanze opposte.

Quando Mussolini

riconobbe i Soviet

Lunghe memorie. Per 200 anni architetti lombardi costruivano per gli zar. Un secolo e mezzo fa (10 novembre 1862) fu a San Pietroburgo che Giuseppe Verdi volle mettere in scena per la prima volta la “Forza del destino”. Quando già si sentiva il “rombo rosso” della rivoluzione, con Lenin che giocava a scacchi sulla piazzetta di Capri, la famiglia alto borghese dello scrittore Boris Pasternak villeggiava al Lido. Bolscevismo e fascismo si annusarono e non si dispiacquero. Mussolini riconobbe l’Unione dei Soviet nel 1924, aprendo gli investimenti agli Agnelli e ai Marinotti. Nel ’29 Italo Balbo divenne un eroe nazionale quando con la sua squadriglia di idrovolanti S55 ammarò ad Odessa.

La cultura e gli interessi

alla base di un legame

Dopo la guerra, vittoriosi e vinti ripresero i “dossier” e da lì ricominciò il vecchio feeling. L’Eni di Mattei vide nel petrolio del Mar Caspio un’alternativa al monopolio energetico degli anglo-americani, la Fiat mise al volante milioni di “tovarishi”. Finita la leggenda di Togliattigrad (ma non le “Zhiguli” seppure ridotte a carcasse di ruggine), agli interessi energetici con la complessa tecnologia dell’estrazione e del trasporto si sono aggiunti i nuovi settori del consumo, dalla moda all’alimentare, senza mai dimenticare, anzi, la cultura: se Gherghijev dirige alla Scala, Muti risponde al Bolshoj. Tutto esaurito da entrambe le parti.

Quelle forze asimmetriche

che alla fine si sorreggono

Di conseguenza il dialogo è ininterrotto ed imponente anche se si svolge tra forze asimmetriche: l’Italia è costretta a inseguire il suo Pil, la Russia l’aumenta di 50 miliardi di dollari. Meno male, visto che lo scorso anno le esportazioni italiane sul mercato russo hanno toccato quota 10 miliardi, con l’interscambio cresciuto nel primo semestre di quest’anno del 16 per cento. Sono sulla rampa di lancio nuovi investimenti, come i progetti Eni Techint per la Norilsk Nikel e della Rizzani De Eccher per un futuristico stadio della Dinamo Mosca e per lo sviluppo turistico del Nord Caucaso ben oltre le imminenti Olimpiadi invernali di Sochi che una medaglia d’oro l’hanno già conferita.

Una modernizzazione spinta

grazie al record del greggio

A Vladimir Putin, garante politico di un investimento calcolato a 30 miliardi di dollari, un record assoluto tipicamente in linea con il pensiero dominante al Cremlino: ricostruire la grande potenza di un tempo che possa misurarsi alla pari con l’Occidente. Con il barile di grezzo passato in 5 anni da 34 a 117 dollari Putin ha le risorse per lanciare l’ennesima modernizzazione, ammesso che riesca a ricostruire anche lo spirito di un paese depresso e nostalgico in preda a derive xenofobe e nazionaliste nonché ostaggio di una nomenklatura tirannica e corrotta. Qual è la frontiera, morale e materiale oltre la quale sporgersi e guardare, nella speranza di vederla finalmente crollare? Quella con l’Europa o quella che si spalanca sulla voragine asiatica? Chi prevarrà, alla fine, tra individualismo umanitario e massificazione tribale? Società aperta o chiusa in antichi rancori?

Una sacra alleanza

in puro stile zarista

Nell’attesa, Putin totalizza alcuni successi. Nei Balcani (Serbia) e in Medio Oriente (Siria, Iran) è riuscito a ricreare una sua sfera d’influenza approfittando del non interventismo di Obama e del velleitarismo dell’Unione europea. Con trattati commerciali e il cappio energetico ha bloccato le fughe pro-Nato di vicini difficili come Ucraina, Georgia e Moldavia. Nelle steppe dell’Asia Centrale, allo sterminato confine con la Cina, ha costituito una sacra alleanza in puro stile zarista con gli autocrati locali del petrolio e del gas ai quali chiede tributi e la difesa della Grande Russia. Infine, ha normalizzato a modo suo le repubbliche del Caucaso dove ribolle l’integralismo islamico appaltando a luogotenenti locali una repressione molto pesante e che comunque serva ad esempio di disciplina agli oltre 20 milioni di musulmani che vivono all’interno della Russia slava e ortodossa.

Una nuova dissidenza

nella generazione internet

Fino a qualche anno fa dalle metropoli fino all’ultima “isba” siberiana si sarebbero levati solo applausi. Oggi meno. S’avanza veloce una nuova classe, giovane e metropolitana, che parla inglese, usa Internet, viaggia nel mondo e non ha paura di scendere in piazza per gridare che il re è nudo. È una dissidenza che non somiglia per nulla a quella meditabonda e scontrosa alla Solzhenitzin e alla Sacharov. Né crede alla famosa tesi di Putin secondo il quale il crollo dell’Urss fu la più grande tragedia del XX secolo. Impegnati come sono a ricostruire il mito della potenza globale, gli ideologi del Cremlino hanno sottovalutato il fronte interno al punto da reagire con la repressione, sottovalutando la reazione internazionale che getta forti ombre sul “maquillage” democratico del sistema.

Zar e Patriarcato sbeffeggiati

dal fenomeno “Pussy riot”

Come nelle famiglie patriarcali, alcuni nervi non si possono toccare. Piratesca nei modi o meno, l’azione dei “Greenpeace” nell’Artico andava repressa in modo militare per segnalare che gli interessi petroliferi del Cremlino e della sua “longa manus” Gazprom non si toccano, si trovino essi tra i ghiacci polari o tra le pietraie di Samarcanda. Lezioni, avvertimenti, minacce. Se il nostro “verde” napoletano se la caverà forse con un perdono pagato, le tre ragazze delle “Pussy riot” stanno invece pagando il loro “show” in un campo di lavoro siberiano. Nel loro spettacolino nella cattedrale di Mosca, blasfemo ma “disarmato”, hanno peccato due volte: hanno sbeffeggiato lo zar e bestemmiato contro il Patriarca, il depositario spirituale della “vlast”, l’eterno potere che domina la Russia.

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