Game of Thrones: il Re che non ritorna

Si suppone che tutti i fan della serie abbiano ormai visto l'ultima puntata, ma tanto vale specificarlo: ALLARME SPOILER
Game of Thrones è finito, dopo aver trasformato una saga fantasy di nicchia in un fenomeno mondiale. Il curioso esperimento culturale a cui abbiamo assistito grazie a GOT fa sì che conosciamo la fine della storia prima della pubblicazione dei libri. Caso unico finora. Sul suo blog, l'autore George R.R. Martin ha risposto in modo enigmatico alla domanda più ovvia. Il finale sarà lo stesso?
Well… yes. And no. And yes. And no. And yes. And no. And yes.
Tutto ciò che scriverò qui si basa sul fatto che George R.R. Martin ha dichiarato di aver raccontato, ormai diversi anni fa, il finale delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco agli autori di GOT. In quanto tale, il mio scritto è passibile di venir smentito da un'intervista stizzosa del barbuto dopodomani, oppure dalla sua versione finale della storia quando, Dio vorrà, A Dream of Spring vedrà la pubblicazione.
Sia chiaro quindi che parlerò dei libri, o meglio della linea narrativa che Martin aveva immaginato in origine, e non della serie. Quanto a quest'ultima, mi limito a dire che altre due stagioni, oltre a questa, avrebbero consentito un'adeguata copertura delle esigenze della trama: l'ottava stagione destinata alla sconfitta del Night King, una a quella di Cersei e l'ultima alla morte di Daenerys e quel che ne segue. Resta il fatto che alcune sequenze sono di potenza rara: se avessi visto a quindici anni la scena in cui il drago si solleva dalla neve e lascia passare Jon Snow, penso sarei impazzito.
Torniamo a Martin. La conclusione della saga porta a compimento il suo progetto di rinfondare il genere fantasy, rivoluzionando di fatto il suo rapporto con l'epica. In questo riesce nella missione impossibile di restare fedele al suo modello Tolkien (di cui ha adottato le "R.R." nello pseudonimo) e al contempo a divergerne radicalmente.
La regina liberatrice, la salvatrice del mondo, viene mutata in un tiranno dalle sue stesse buone intenzioni e dalla complessità individuale di un personaggio femminile insuperabile nel genere.
Nessuno sederà sul Trono di Spade (la cui immagine originaria nei libri, una torre di metallo contorto, è omaggiata da Daenerys nel suo discorso finale). Viene fuso dal drago, la Targaryen arriva soltanto a toccarlo.
Il vero re, Aegon Targaryen, non ritorna. Come Aragorn il numenoreano, Jon Snow sopravvive a tutto per scoprire il suo sangue reale. Non sapremo mai se il trono dei Sette Regni l'avrebbe tentato (a Dany dice "Sarai sempre la mia regina"), la possibilità si chiude nel momento in cui il drago sceglie il cadavere della sua madre sterminatrice. Sappiamo soltanto che in fondo è meglio così: Jon Snow resta Jon Snow, nessuno, uomo libero del nord. La sua è la gente del lupo, non del drago.
I personaggi di Tolkien sono archetipici nella misura in cui mettono in discussione l'archetipo stesso. Aragorn è il vero re, il re taumaturgo, perché rigetta la tradizione mortifera affermata da Denethor nel suo rogo. Più che un individuo, è una questione, la questione della regalità.
L'eroe di Martin non reclama il trono, pur avendone diritto.
Gli unici a regnare alla fine della guerra sono una donna che ha sconfitto l'inferno, la Regina del Nord, e il reietto per eccellenza, il nano. La sedia del Hand of the King è dove risiede di fatto il vero potere degli ormai Sei Regni.
Il re, Bran lo Spezzato, non ha alcun interesse per tali inezie. Il suo trono è una sedia a rotelle.
In tutto questo si vede la differenza enorme che separa l'inglese cattolico Tolkien - gigante letterario della prima metà Novecento - dal suo successore, figlio dell'America dei movimenti.
Un'ultima nota. Il vero fulcro della storia tolkeniana non è quella dei re, ma la vicenda dei piccoli hobbit scaraventati nei grandi movimenti della storia. Il cittadino Tolkien nelle trincee della Grande guerra. E quella vicenda prosegue dopo la distruzione dell'Unico Anello, perché c'è sempre un dopo l'evento risolutivo.
Anche Martin non lascia dubbi sul carattere aperto della storia che ha scelto di narrare. Non è difficile immaginare un prosieguo in cui il drago va a cercare l'ultimo dei Targaryen, che alla fine riesce a domarlo. C'è da stare certi, però, che nessun secondo rogo attende King's Landing.
L'eroe di Martin al massimo spiccherebbe il volo per andare alla ricerca di Arya, salpata verso occidente come vuole un'antica tradizione di avventurieri delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
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