Fusione con Udine, il cda del Rossetti continua a frenare

Riunione fiume in serata: richieste ulteriori verifiche e un tavolo regionale. Il direttore artistico: «Siamo in stand-by». Bevilacqua del Css: «Stiamo perdendo tempo»
Il pubblico del Rossetti durante uno spettacolo
Il pubblico del Rossetti durante uno spettacolo

Il Rossetti non vuole diventare Teatro nazionale, ma non sa come dirlo alle istituzioni locali (Comuni e Regione) che sostengono il progetto. Il consiglio di amministrazione, che si è riunito ieri sera, ha deciso di non decidere. O meglio di decidere il più tardi possibile: iniziato alle 18.30, alle 22 passate era ancora in corso. Prendendo e perdendo tempo. Rinviando tutto a ulteriori verifiche e a un ipotetico tavolo regionale. «Siamo in stand-by» spiega il direttore artistico Franco Però. «Nulla di fatto», è la sentenza verso la quale andava ieri sera l’ennesimo cda fiume.

L’alternativa al Teatro nazionale (con Css e Accademia Nico Pepe di Udine) resta quella del Teatro di rilevante interesse culturale (il Tric) che il Rossetti sembra non vivere come un declassamento. Non preoccupato neppure dell’eventuale affollamento di Tric della piazza triestina (La Contrada e lo Sloveno). Tre su quattro di quelli ipotizzabili a livello regionale. Al Tric si prepara anche il Css (teatro stabile di innovazione) nel caso, come sembra, il fidanzamento con il Rossetti venisse rotto definitivamente. Difficile che i due promessi sposi arrivino all’altare in tempo utile. Il presidente Milos Budin coltiva più dubbi che certezze: «Questo Teatro nazionale cos’è? Nessuno mi sa dire perché dovrebbe essere più conveniente per il Rossetti. Non ho avuto risposte neppure dagli altri candidati al Teatro nazionale» ripete ad ogni occasione Budin. Nessuno in effetti sa rispondere, visto che il Teatro nazionale non è mai esistito. L’unica certezza è che gli Stabili spariranno. Da fine gennaio.

Rossetti, dubbi e resistenze sulla fusione con Udine
Il Politeama Rossetti gremito per uno spettacolo

Prima del cda ieri si è tenuto un lungo confronto (mattina e pomeriggio) con il partner Css. Erano presenti per il Rossetti: il presidente Budin, il direttore artistico Però, il direttore organizzativo Stefano Curti, il direttore amministrativo Maura Catalan e il direttore di produzione Roberta Torcello. Per il Css c’erano il presidente Alberto Bevilacqua e la vicepresidente Rita Maffei. Una riunione sostanzialmente inutile. Interlocutoria come le altre. «Abbiamo approfondito sia le positività che le criticità» spiega Però. «Le perplessità generali sul decreto rimangono. I punti oscuri sono tanti. Per cui non c’è nulla di fatto per ora. Dobbiamo chiarire a livello locale e a livello nazionale. Fare in fretta non ha senso. Sappiano che il tempo è strettissimo.

La stagione è iniziata sia a Udine (dove ho visto un bellissimo “Darling” di Ricci/Forte) che da da noi con Finis Terrae di Calenda. So che sembra un sottrarsi alla risposta definitiva, ma serve un confronto con la Direzione nazionale del ministero. Non è semplice rimanere a mezz’aria. In questo momento è tutto fermo. Non possiamo neppure valutare le proposte di coproduzione» aggiunge Però.

Un Rossetti “nazionale” con oltre 2 milioni di buco
Il politeama Rossetti

La direzione artistica del futuro Teatro nazionale (unica o collegiale) non è un problema. «Una soluzione col Css si trova» assicura il direttore artistico del Rossetti. Le pubblicazioni per il matrimonio non sono a oggi in calendario. C’è da dire poi che il Rossetti ha un buco patrimoniale di oltre due milioni di euro. Il presidente del Css Bevilacqua è stanco di preliminari: «Noi restiamo disponibili, ma non a qualunque costo. Mettiamo in gioco 35 anni di lavoro e di innovazione. A qualcuno sfugge che è il Rossetti a diventare Teatro nazionale, mentre il Css sparisce». Altro che la favola dei friulani che fanno un sol boccone del Rossetti (deficit incluso). «Non rinunciamo a cuor leggero all’accreditamento ministeriale - spiega Bevilacqua - . Andare nella direzione di un teatro del Friuli Venezia Giulia di respiro nazionale che dialoghi con l’Europa è una prospettiva stimolante. Ma non è un obbligo. Se non vogliono farlo, lo dicano. Non ha senso continuare a perdere tempo».

Essere un Teatro nazionale o non essere un teatro nazionale? Non essere. Sarà questo il problema?

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