Fulchir: «Non è in gioco la mia credibilità»

Parla uno degli imprenditori che ha rilevato il marchio del “cotto” triestino Masè: «Mai stato condannato»
Di Giampaolo Sarti
Carlo Fulchir imprenditore
Carlo Fulchir imprenditore

L’ambizione di aprire nuove salumerie, passando da 13 a 20 se non addirittura 30. E «portare avanti la tradizione», garantisce Carlo Fulchir. L’imprenditore è uno dei quattro friulani della Bts, la spa della logistica che ha preso in affitto e poi acquisirà la “Salumi Masè”, storico marchio di casa nostra legato a un cognome che ha radici in Trentino, in Val Rendena, a Strembo. Dolce paesino di gente schiva e fontane zampillanti dove non pochi triestini, come i Masè, i Fantoma, i Righi e i Botteri, conservano le proprie origini e, alcuni, la villa in montagna. È da lì che negli ultimi anni dell’Ottocento era partita l’emigrazione. Lo scorso febbraio Andrea Masè aveva depositato l’istanza di fallimento con un passivo di 10 milioni di euro.

La Bts, pagando un affitto di 11 mila euro al mese, entra nella gestione. Sottoscritta anche l’opzione di acquisto, che dovrà essere sottoposta ad asta pubblica tra fine 2013 e inizio 2014. Amministratore della spa è l’udinese Dino Fabbro, già proprietario di vari supermercati della catena Di Meglio. Pure gli altri soci parlano friulano. Franco Soldati è presidente dell’Udinese Calcio, Luca Marcuzzo è assessore in Provincia di Udine. E poi Fulchir, fondatore della Finmek. Nel suo biglietto da vista c’è un arresto per il crac da 1 miliardo di euro del gruppo industriale che aveva travolto 11 mila creditori. E l’ombra di accuse che andavano dalla bancarotta fraudolenta alla truffa. Nel 2007 l’imprenditore aveva patteggiato nel Tribunale di Padova la pena di 4 anni e 9 mesi di reclusione. In altri processi era stato assolto.

«Non devo difendere la mia credibilità», dice. «Da dove nasce l’interesse per Masè? Dalla voglia di fare e metterci in gioco. L’impresa ha un passivo di 10 milioni, da deve deriva? Da investimenti fatti nel passato per creare il marchio. Ma poi è venuto meno il supporto finanziario, come capita a tante altre imprese. Investimenti non sbagliati, ma che prima erano sostenuti dalle banche e poi no. Le vendite ne hanno risentito? Solo un calo del 5-7%, non oltre. Infatti il tribunale ha affidato l’esercizio provvisorio in virtù del fatto che l’azienda non ha subito contraccolpi. Il gruppo non è compromesso. Compito nostro sarà rivitalizzare i negozi per crescere. Perché il gruppo è sinonimo di qualità e affidabilità e il cotto Masè è riconosciuto.

Come intendete operare per risollevare l’azienda?

Troppo presto dirlo. Ma assorbiremo i 65 dipendenti: un impegno importante per tenere in vita l’azienda, prepararci all’acquisto e poi fare investimenti. Concretamente? Una volta acquisto il gruppo in via definitiva, nel 2014, il nostro obiettivo è arrivare da 13 a 20, 30 salumerie a Trieste. Continueremo a portare avanti una tradizione che si tramanda nella storia.

Lei arriva a Trieste portandosi dietro un passato con vicende giudiziarie di un certo peso.

Mai stato condannato. Sono stato assolto da 5 Tribunali per accuse che vanno dalla bancarotta al riciclaggio. Ne sono uscito per non aver commesso il fatto a Ivrea, Sassari, Santa Maria Capua Vetere, Napoli e Roma. Ho deciso di patteggiare la pena a Padova per il processo Finmek. L’ho fatto per evitare lunghi e snervanti processi.

Con un trascorso così quale credibilità può dare a un’azienda?

Non credo sia una domanda da farmi perché io non devo difendere la mia credibilità. Io vengo a salvare un’azienda e delle persone. Non ho bisogno di ricostruire la mia credibilità. Parliamo di ciò che fa bene a Masè, mi domandi questo.

Ne abbiamo già parlato.

Ma mi sta chiedendo cose che non c’entrano con il progetto Masè. Se ci fermiamo alle vicende giudiziarie la gente pensa che si passa dalla padella alla brace. Capiamoci.

Appunto.

Abbiamo ambizioni serie e vorrei avere la stima e la cordialità della stampa e della città. Sono mesi complicati e noi vogliamo lavorare in modo corretto e costruttivo.

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