Flop del referendum in Macedonia, Ue e Nato più lontane

Vincono i sì ma manca il quorum. Il premier Zaev indebolito si appella al Parlamento. Ipotesi elezioni anticipate
epa07060008 The opponents of the referendum celebrate the small response of the voters on the referendum on the country's name change in front of the Parliament building in Skopje, The Former Yugoslav Republic of Macedonia, 30 September 2018. The latest information from the State Election Commission suggests that about 35 percent (623,000) from Almost two million citizens of Macedonia came out to vote, while a successful referendum required 50 percent of votes plus one. EPA/VALDRIN XHEMAJ
epa07060008 The opponents of the referendum celebrate the small response of the voters on the referendum on the country's name change in front of the Parliament building in Skopje, The Former Yugoslav Republic of Macedonia, 30 September 2018. The latest information from the State Election Commission suggests that about 35 percent (623,000) from Almost two million citizens of Macedonia came out to vote, while a successful referendum required 50 percent of votes plus one. EPA/VALDRIN XHEMAJ

SKOPJE La strada spianata verso l’adesione alla Nato, lo sblocco del percorso d’ammissione alla Ue messo sul tavolo da Bruxelles, gli appelli accorati di Usa e dei maggiori leader europei. Tutto inutile. Lo storico referendum di oggi domenica 30 settembre in Macedonia, passaggio fondamentale per confermare gli accordi di Prespa tra Skopje e Atene sul cambio del nome dell’ex repubblica jugoslava in “Macedonia del Nord”, è fallito.

Ma i giochi non sono fatti. È lo scenario delineatosi in Macedonia, dove solo il 34% degli aventi diritto - dati delle 18.30, mezz’ora prima della chiusura dei seggi, ultimo dato disponibile - ha deciso di esprimersi sulla questione, gelando l’esecutivo – ma anche le grandi potenze occidentali, non certo Mosca – che tutto aveva puntato sulla consultazione popolare per risolvere la decennale disputa sul nome tra Atene e Skopje. Magra consolazione, la percentuale bulgara di sì, oltre il 91%, sulla base del 70% delle schede scrutinate.

A vincere, in realtà, è stato il partito del boicottaggio. E non ha pesato – o lo ha fatto negativamente – il controverso quesito referendario, pensato per stimolare l’affluenza, che non citava tuttavia nella domanda neppure il cambiamento di nome del Paese. Ma chiedeva solo ai cittadini se erano o meno «a favore dell’adesione all’Ue e alla Nato attraverso l’accettazione dell’accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Grecia».

Cosa accadrà ora? Malgrado il flop, lo scenario più plausibile è quello di una prova di forza in Parlamento, che rischia di infiammare la piazza. Lo ha indicato il premier Zoran Zaev dopo la chiusura dei seggi, visibilmente deluso ma agguerrito. Zaev ha assicurato che, sebbene il quorum non sia stato raggiunto, si è trattato di «una vittoria per la Macedonia europea, malgrado il boicottaggio dell’opposizione». E «mi attendo» che i deputati «non ignorino la volontà» di chi è andato alle urne, posizione speculare a quella espressa via Twitter dal Commissario Ue Johannes Hahn. Leggi, i parlamentari cambino comunque la Costituzione per applicare definitivamente Prespa.
È uno scenario, questo, che era stato anticipato dallo stesso Zaev prima del referendum e che ha diviso i costituzionalisti macedoni. Il governo aveva suggerito infatti che il voto sarebbe stato solo «consultivo». Servono comunque i due terzi dei voti in Parlamento per finalizzare l’intesa di Prespa, mentre Zaev può contare su 73 seggi su 120. Difficilmente, dopo il flop di ieri, qualche deputato fuori dalla maggioranza darà una mano al governo.

E l’ipotesi elezioni anticipate, paventata ieri dallo stesso premier, è ormai una possibilità molto concreta. Zaev non troverà infatti una sponda in Parlamento nei ranghi del maggior partito d’opposizione, tra i nazionalisti del Vmro-Dpmne. Nazionalisti che invece sono scesi ieri in piazza a festeggiare il trionfo, inneggiando alla «Macedonia». Sono gli elettori che hanno ascoltato le sirene del presidente conservatore Gjorge Ivanov, che aveva definito gli accordi di Prespa una «flagrante violazione della sovranità nazionale». E quelli del leader del Vmro-Dpmne, Hristijan Mickoski, che ha ribadito che l’intesa Zaev-Tsipras ha ricevuto «luce rossa dal popolo», da chi si è astenuto «lanciando un messaggio chiaro». Che questa» è solo «la Macedonia», senza la specificazione “del nord”. Ma Skopje, senza quel suffisso, da ieri sera è più lontana da Ue e Nato.

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