Eredita un tesoro di reperti preistorici. Triestina si scopre milionaria ma lo Stato li congela

L’odissea giudiziaria di una 69enne che si è vista sequestrare cumuli di selci che per la Soprintendenza valgono 107 milioni

TRIESTE A Trieste c’è una pensionata di 69 anni che da un momento all’altro potrebbe diventare molto ricca. Milionaria. E non grazie a una vincita alla lotteria o a qualche trasmissione a premi, ma grazie alla preistoria. La signora si chiama Giuseppina Perazzi: è originaria di Monza, ha vissuto a Verona ma da anni si è traferita qui con il compagno triestino, Giampiero Ierbulla. Considerata la pioggia di quattrini che presto o tardi potrebbe ricoprirla, per motivi di riservatezza – e sicurezza personale – non preciseremo dove risiede. Ci limitiamo a dire che abita nelle vicinanze di un rione popolare, ecco. Al momento vive in condizioni piuttosto modeste.

La possibile fortuna di Giuseppina Perazzi è racchiusa in un enorme tesoro. Oro? Gioielli? Un baule di monete preziose? Macché. Di più, ben di più. Giuseppina possiede tre armadi colmi di una collezione di pietre: selci lavorate da uomini preistorici. L’Homo Erectus, ad esempio, ci costruiva asce, scalpelli, raschiatori e altri utensili.

La sessantanovenne ha ereditato i reperti dal compagno Roberto Partesotti, uno scenografo dell’Arena di Verona deceduto in un incidente una ventina di anni fa. Il quale, a sua volta, aveva ricevuto il materiale da un bisnonno appassionato di preistoria che nell’Ottocento si era messo a raccogliere frammenti di schegge e manufatti. Si parla di oltre cinquemila selci, provenienti perlopiù dalla Lessinia in provincia di Verona (il ritrovamento risalirebbe durante la costruzione di un acquedotto) e dalla Puglia. Ma qua e là spuntano pure pezzi dal Nord Africa e dalla Francia.

Il valore della collezione, secondo stime della Sovrintendenza del Veneto, raggiunge cifre da capogiro: 107 milioni di euro. Il passaggio di Ronaldo alla Juve, per dire, è costato meno. Una delle quattro versioni dell’Urlo di Munch, per restare su quell’ordine di grandezza, è stata venduta nel 2012 dalla casa d’aste Sotheby’s di New York a 119,9 milioni.

La parte problematica di questa vicenda è il calvario giudiziario che da anni ormai vede protagonista la sessantanovenne. I dolori cominciano nel 2007 quando la signora, rimasta disoccupata, decide di cedere le selci e ricavarne dei soldi. Perché con le pietre, si può capire, non si fa la spesa al supermercato. Per disfarsene e guadagnarci su qualcosa, la donna si rivolge a una casa d’aste tedesca. Con un risultato magro: il tesoro è quantificato in appena 10 mila euro e viene destinato alla vendita a Monaco di Baviera. Ma la Procura di Verona, dove risiede la pensionata, ha una soffiata: da dove arrivano quei reperti? Parte dunque un’indagine giudiziaria, perché i magistrati sono convinti che le pietre, di evidente valore culturale, provengano da scavi illeciti e che quindi siano di proprietà statale. Le procedure d’asta si bloccano, scatta il sequestro. A quel punto si decide di sottoporre il materiale a perizia. Se ne occupa il direttore archeologo della Soprintendenza del Veneto, Luciano Salzani. L’esito è stratosferico: il valore è di 107 milioni di euro. Altro che quei due spiccioli valutati dalla casa d’aste tedesca. Ma è possibile una somma del genere?

La faccenda, ormai più giudiziaria che storica, si complica: nel giugno del 2009 i beni tornano in Italia. E la Procura di Verona, nel contempo, avvia un procedimento penale per esportazione illegale di beni culturali. Proprio perché i reperti erano stati trasportati in Germania per la cessione. Il fascicolo, intanto, è assegnato alla Procura di Bolzano, visto che il presunto reato si consuma nel passaggio di frontiera. Nei guai finiscono sia Perazzi che il compagno triestino, Ierbulla. È quest’ultimo, infatti, a pagare il trasporto, dal momento che la pensionata non ha disponibilità economiche. In mezzo ci sono almeno altre quattro puntate: il vincolo posto dalla Procura di Bolzano che ritiene i reperti “bene culturale”, un annullamento del Tar, la prescrizione del procedimento e nel 2018 l’ordinanza del giudice del Tribunale altoatesino con cui si dispone che i reperti sequestrati vengano restituiti. Ma, sorpresa, la pensionata si trova ancora sotto indagine per “tentato impossessamento illecito di beni culturali dello Stato”. E di nuovo da Verona, dove si trovano le pietre preistoriche (nel frattempo immagazzinate nell’Arsenale). Ed ecco la confisca.

Ma la pensionata spera. Dice il legale di fiducia, l’avvocato triestino Libero Coslovich: «Il Tribunale di Bolzano ha disposto la restituzione alla signora Perazzi», spiega. «Inoltre c’è stata la prescrizione, ma la Procura di Verona è andata all’attacco con un altro sequestro. Ora serve uno studio aggiuntivo perché la perizia della Sovrintendenza, che il Tribunale aveva fatto propria, era di parte e senza contraddittorio. Nel caso in cui lo Stato accerti che i reperti sono di interesse nazionale – precisa – dovrà corrispondere alla signora l’indennità di ritrovamento dei beni”»

Dunque, se la cifra stimata a suo tempo dalla Soprintendenza non era un colossale abbaglio, non saranno spiccioli. «Non ci arrendiamo», assicura l’avvocato. La storia, anzi la preistoria, non è finita.—


 

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