Edna O’Brien, la ragazza da mandare al rogo
di Arianna Boria
Nella sua casa di Londra, durante gli “swinging Sixties”, Shirley MacLaine le leggeva la mano, svelandole con tutta serietà che, nelle sue vite passate, era stata “più volte madre e prostituta”. Roger Vadim, carismatico e autoritario, mieteva vittime femminili a dispetto di Jane Fonda, e intanto aiutava ad arginare i disastri che provenivano dalla cucina, come un'anatra finita a terra durante il trasferimento dal forno e ricomposta nel piatto a beneficio degli ospiti. La figlia dei fiori Marianne Faithfull, dai lunghi capelli e le mille collane, girava a piedi nudi cercando la musica adatta per i versi di Yeats, e la principessa Margaret, all'epoca sposata con Lord Snowdon, tracannava whisky, ma solo di una marca, The Famous Grouse. Una sera, sul divano del salotto, ci finì anche una malinconica e confusa Judy Garland, la Dorothy del Mago di Oz, che non vide l'ora di sgattaiolarsene via, senza dire una parola a nessuno.
C'erano feste scatenate e molto alcol in quegli anni nella casa della scrittrice irlandese Edna O'Brien, autrice delle “Ragazze di campagna” scritto furiosamente in sole tre settimane nel 1960 e nel suo paese bruciato sui sagrati per la franchezza con cui le protagoniste rivendicavano il diritto a vivere e parlare della sessualità. I suoi due figli, Sasha e Carlo, che per il fine settimana tornavano dal collegio, giravano tra gli invitati con tuniche rosse ricamate, imparando a confezionare spinelli. Una notte Paul McCartney cantò loro una canzone, mentre erano a letto quasi addormentati, e la mattina dopo i due ragazzini si svegliarono col dubbio che fosse stato solo un sogno. Quando, una volta al mese arrivava a Londra la madre di Edna, Lena, che aveva fatto la cameriera a Brooklyn ma era tornata nella cattolicissima Irlanda per tirar su una famiglia dai solidi principi, se ne stava seduta in poltrona, al riparo della spalliera e con i capelli tirati sul cranio da pettinini di tartaruga, chiusa nella sua riprovazione. «Per un breve periodo – racconta la scrittrice – facevo party ogni sabato sera. Stappavo champagne, cucinavo. Le feste erano bohemien, ci venivano molte persone meravigliose. Ma in fondo sapevo che trascuravo la mia vera vocazione, la scrittura, e che avrei dovuto tornare a quello. E l'ho fatto».
Una vita, e un'epoca, straordinaria. Vorticosa, libera, spregiudicata, affollata di incontri e di personaggi, da Londra a New York. Gli amori, l’Lsd, la battaglia per i figli, i pianti e le ribellioni, ma anche momenti fervidi di solitudine e scrittura. Edna O'Brien oggi è una signora di 83 anni con una carriera costellata da trenta opere tra romanzi, raccolte di racconti, poesie e testi per il teatro, tanti premi e riconoscimenti e l'ammirazione dei colleghi, da Philip Roth all'ultimo premio Nobel, Alice Munro, che la considera una delle autrici che più l'ha influenzata: «Scrive le più belle e doloranti storie di sempre».
La sua ultima fatica è inevitabilmente “Country girl”, l'autobiografia che aveva giurato di non scrivere mai, accolta con grande clamore in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e uscita in Italia da Elliot Edizioni (pagg. 378, euro 18,50). Un romanzo, più che il resoconto di una vita, la storia di un periodo febbricitante di cambiamenti, i cui protagonisti, letterari e mondani, si muovono vivi tra le pagine, senza la melassa degli anni e la cornice della saggezza postuma: Richard Burton che le recita Shakespeare, Marlon Brando che beve latte nella sua cucina poi passa con lei una notte “casta”, Harold Pinter, consumato dalla malattia ma ancora pronto ad attaccar briga al ristorante a proposito del whisky.
Nata da mamma timorata e padre etilista, in una casa piena di breviari e libri religiosi, educata in convento, dove si invaghì di una suora, Edna O'Brien, con il suo bel diploma di farmacista in tasca, disse addio per sempre all’asfittico paese di Tuamgraney, nell'Irlanda del nord, e si trasferì a Dublino. Lo scrittore Ernest Gébler, che conobbe casualmente, le parlava di James Joyce con assoluta familiarità e chiamava Leopold Bloom “Poldy”. Edna ne restò estasiata e fuggì con lui, sposato, gettando la famiglia nella costernazione. Il loro matrimonio, da cui nacquero due figli, andò in pezzi con il successo di “Ragazze di campagna”: «Sai scrivere e questo non te lo perdonerò mai», le disse Ernest dopo aver letto in libro in una notte, prostrato dal talento della moglie più che da un tradimento. La guerra per la custodia dei figli non le risparmiò accuse di ambizione smodata e libertinaggio, mentre, con i libri successivi, “La ragazza dagli occhi verdi” e “Ragazze nella felicità coniugale”, cominciarono a piovere assegni a tanti zeri per la sua prima casetta da madre single. Quando uscì “August is a wicked month” un giornale titolò: “La O’Brien lancia una molotov contro la campana di vetro del matrimonio”.
Londra, poi New York, dove viene spesso chiamata per lezioni nelle università. Inseguendo quelle parole che a volte “non venivano”, Edna va alla ricerca delle tracce della madre, cui vuole dedicare un libro. E gli incroci nei salotti americani - dove ci ritroviamo a guardare con i suoi occhi i cuscini a piccoli punto sui divani che riproducono le sembianze del cane di casa - valgono da soli un romanzo nel romanzo di una vita: da Gunter Gräss, che le scrive il suo primo biglietto in inglese (“gentile signora O’Brien, se scopriremo di piacerci dopo cinque minuti potremmo andare insieme a mangiare un grosso pesce o qualche altro animale...”) a Miloš Forman che, al primo incontro, la interroga: “Come si fa a chiedere a una donna di togliersi il cappotto senza che si tolga anche i vestiti?”. E poi l’«acido» Norman Mailer, con cui va in giro per la città a far ricerche per il libro, Hillary Clinton che la invita alla Casa Bianca, dove cena tra lei e Jack Nicholson, l’eremita Philip Roth, John Houston, Gore Vidal. E Jackie, «leggiadra come una piuma, fanciullesca, appassionata, capricciosa e caparbia», con cui Edna strinse un’amicizia che durò dieci anni.
“Un pianoforte rotto”: così le dice l’infermiera dopo un controllo dell’udito in una clinica londinese. “Molly Bloom in saldo”, scrittrice che ha fatto il suo tempo, legge di sè su alcuni giornali. Così, a 78 anni, un giorno tornando a casa Edna decide di fare due cose: il “soda bread”, pane irlandese con il lievito di birra, e il libro che non doveva scrivere. «Pianoforte rotto o meno, mi sentii più viva che mai mentre l’aroma del pane infornato si spandeva nell’aria. Era un aroma antico, portatore di ricordi...». Sarà per questo che anche la storia della sua vita sembra ancora piena di capitoli da sfogliare.
@boria_A
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