Dipiazza: «Se Trump non vuole salta tutto». D’Agostino: «Anche altri pronti a investire»

Il presidente dell'Autorità portuale: «Tutti commentano un accordo di cui nessuno conosce i contenuti».
Foto Bruni Trieste 28.10.16 Comitato Autorità Portuale-D'Agostino
Foto Bruni Trieste 28.10.16 Comitato Autorità Portuale-D'Agostino

TRIESTE. L’ultima riunione di governo sulla Tav sembra poter provocare la crisi di governo, ma l’alleanza gialloverde scaccia le paure e assicura che la firma sul memorandum d’intesa con la Cina resisterà alle pressioni Usa e Ue. Non bastassero le rassicurazioni del sottosegretario leghista Michele Geraci, è il capogruppo grillino al Senato Stefano Patuanelli a tenere il punto: «L’accordo sarà firmato, a prescindere da pressioni e preoccupazioni che ritengo immotivate». Il rappresentante triestino più in vista del M5s sottolinea che «la Cina è una grandissima opportunità per la città e lo sviluppo assieme alla Cina è una possibilità contemplata ufficialmente dall’Ue, anche se giova ricordare che parliamo di un porto libero e una zona extra Ue come stabilito dal trattato di pace del 1947». Il senatore è ottimista: «Trieste non è il Pireo e l’Italia non è la Grecia. Il governo interloquisce alla pari col colosso cinese e ciò permetterà a Trieste di fare il salto di qualità».

Il presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino chiede tuttavia che il governo sgomberi il campo dalle incertezze: «Tutti commentano un accordo di cui nessuno conosce i contenuti. Sarebbe il caso di fare chiarezza su quanto c’è scritto o almeno su quanto non c’è scritto». D’Agostino non teme che gli scontri geopolitici possano minare lo sviluppo del porto: «Le operazioni di cui si sta discutendo con i cinesi sono puro business, non legato per forza alla Via della seta. Trieste non ha comunque bisogno dei cinesi: siamo desiderati e, se saltassero le operazioni attuali, avremo altri pronti a investire. Se il nostro porto è entrato nella mente di Trump, qualcosa vorrà dire».

Ma le preoccupazioni serpeggiano per diverse ragioni sul piano locale. Per il sindaco Roberto Dipiazza, «se gli Usa non vogliono, i cinesi non arriveranno. Speriamo prevalga il buon senso e che possa esserci sviluppo. Considero un eventuale accordo con i cinesi una grande opportunità, ma Trieste è al centro di una polemica internazionale: il vero problema è politico, e cioè se far arrivare o no i cinesi al centro dell’Europa».

Il governatore Massimiliano Fedriga evita commenti dopo le bacchettate di Usa e Ue, ma non è un mistero che veda di buon occhio accordi stretti con pari dignità. Posizione diversa da quella di Forza Italia, che i manifesti di Giulio Camber hanno schierato sul fronte anticinese e il cui il capogruppo Giuseppe Nicoli parla di «folli risiko economici», chiedendo che «l’Italia non si isoli rispetto al baricentro americano». Timori che non toccano l’imprenditore Enrico Samer: «A Trieste esistono terminal controllati a volte in maggioranza da realtà straniere: se dovesse esserci un interesse cinese ben venga, nel rispetto delle leggi».

Dal centrosinistra, la deputata dem Debora Serracchiani apre agli investimenti cinesi ma chiede al governo di muoversi all’interno della cornice dell’Ue: «Migliorare le relazioni economiche con la Cina è stata una linea guida del centrosinistra. Il problema non sono gli investimenti cinesi a Trieste e in Italia, ma la cornice entro cui il governo intende gestire la partita. È azzardato uscire da un perimetro di sicurezza, che è quello tracciato dalle regole dell’Ue e dal sistema delle alleanze di cui l’Italia fa parte». Per l’europarlamentare Pd Isabella De Monte, «l’eventuale accordo per l’ingresso dei cinesi nello scalo triestino andrebbe gestito con grande prudenza, mentre ci sono dubbi sui legami esistenti tra il governo Conte e Pechino». —

D.D.A.

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