Dieci scheletri a Sant’Andrea: è una necropoli di mille anni fa

Nel 2017 in via del Carso emerse un teschio, poi si sono aggiunte altre tombe con ossa senza fibbie e monili. Soprintendenza al lavoro
La casa dove, durante la ristrutturazione, sono stati trovati resti umani risalenti all’Alto Medioevo (Bumbaca)
La casa dove, durante la ristrutturazione, sono stati trovati resti umani risalenti all’Alto Medioevo (Bumbaca)

GORIZIA Era l’agosto di due anni fa. Gli operai stavano scavando per realizzare le fondamenta di un nuovo garage, laddove un tempo sorgeva l’antico porcile. Ad un certo punto, dalla terra affiorò un teschio umano, molto vecchio, molto datato, che si stava già sbriciolando. E quasi immediatamente emersero anche alcune vertebre, presumibilmente cervicali.

Gorizia: rinvenuto un teschio, cantiere sequestrato
L’area privata posta sotto sequestro (foto Marega)


Il macabro ritrovamento avvenne nel cantiere di un’abitazione privata, in via del Carso, nel quartiere di Sant’Andrea. Poi, di quel caso non si seppe più nulla. I lavori, dopo che entrarono in azione i poliziotti e i tecnici della Sovrintendenza che raccolsero tutti i resti, proseguirono e oggi la casa è quasi pronta. Nel frattempo, però, con il passare del tempo, erano affiorati altri resti umani e la notizia non era emersa pubblicamente.

Il cumulo di terra delimitato nel 2017 Foto Roberto Marega
Il cumulo di terra delimitato nel 2017 Foto Roberto Marega


«Erano dieci tombe - spiega il noto dentista Dimitri Tabaj, proprietario dell’abitazione (e committente dei lavori) -. I resti, molto probabilmente, risalgono all’Alto Medievo (fra il 500 e il 1000 dopo Cristo) o all’epoca precedente. Ma risposte certe e definitive arriveranno dalle indagini di tipo storico con l’ausilio del carbonio 14 che sono già state disposte. Ad oggi, però, non ho notizie in merito. Posso dire che, nei mesi scorsi, le ossa sono state tutte rimosse, e anche abbastanza velocemente. Evidentemente lì, c’erano diverse tombe».

Tabaj si è subito appassionato alla vicenda. E ricorda come, già nel periodo che va dal 1953 al 1954, mentre venivano effettuati lavori di scavo per la realizzazione dell’acquedotto, emersero dal terreno tre scheletri, a una ventina di metri in linea d’aria dalla sua abitazione. «Evidentemente, ma è una mia ipotesi, c’era una grande necropoli in questa zona. Vennero trovati solamente resti umani senza monili, senza fibbie».

Ma torniamo al caso dell’abitazione di via del Carso. «Questa casa appartiene alla mia famiglia da tantissimi anni. Nel corso delle indagini, ho appreso dell’esistenza nell’archivio di Vienna di una mappa militare di fine Settecento, sulla quale è già segnata la mia abitazione, ora in buona parte ristrutturata (anche se, ci tengo a dirlo, col recupero di alcuni materiali originali, a partire dalle pietre). Fino a quel momento, ero a conoscenza che in quest’immobile aveva vissuto il mio quartavolo Jožef Tabaj (detto Zekurin), nato nel 1809 e, dopo di lui, il mio trisavolo, il bisnonno, il nonno e il papà. Il fatto che la casa esistesse almeno da fine Settecento conferma ulteriormente la mia ipotesi che vi fosse nato anche il mio quinquisavolo Jakob Tabaj, nato nel 1777. Sugli avi precedenti (sono arrivato al momento a fine Seicento) non posso pronunciarmi, perché i documenti si fanno più scarni, in primis per la mancanza dei numeri civici».

La casa, insomma, è sempre stata abitata dai Tabaj. C’è stato solamente un intervallo, dal 1915 al 1917, in cui l’edificio è rimasto disabitato. «Il mio bisnonno partì in guerra, la mia bisnonna e i figli vissero da profughi a Lubiana. Al ritorno, subito dopo i fatti di Caporetto, i miei avi trovarono la casa distrutta per il 50 per cento».

In un primo momento, pareva che i resti risalissero al primo conflitto mondiale: il fatto che quell’antica abitazione fosse rimasta vuota in quel periodo pareva deporre a favore di questa ipotesi. L’area del cantiere fu posta sotto sequestro: gli operai continuarono a ristrutturare il resto dell’abitazione ma non potettero toccare nulla nella zona dove doveva sorgere l’autorimessa. Poi, fa sapere Tabaj, la situazione si sbloccò. —


 

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