Dalla Croazia ai Caraibi in barca a vela: «Così restiamo lontani dal Covid»
BELGRADO L’Europa e mezzo mondo erano costretti a rimanere imprigionati in case spesso piccole e sovraffollate, per mesi, in lockdown più o meno severi. Una famiglia ungherese invece nello stesso periodo preparava una barca per la navigazione, riempiva la cambusa e caricava i bagagli, controllava le vele e verificava l’efficienza dei sistemi di bordo. E poi partiva, per un lungo viaggio in mare. A bordo padre, madre e due figlie di meno di dieci anni. Il risultato, la pandemia aggirata. E una nuova vita, in mezzo al mare, nel più sicuro ed eccitante isolamento.
È la storia di Domonkos Bosze, detto Domi, 48 anni, di sua moglie Anna, esperta navigatrice, e delle loro due bambine di 6 e 8 anni. La famiglia magiara da mesi ha lasciato l’originaria Budakeszi, a un passo da Budapest. Per raggiungere la loro barca, il “Teatime”. Mentre il mondo andava verso il lockdown, Domi, Anna e le bimbe erano già arrivati al marina di Sukosan/San Cassiano, sulla costa dalmata, per approntare lo scafo in vista dell’avventuroso viaggio. Viaggio iniziato a tutti gli effetti lo scorso giugno, con tappe a Pago, Molat, Otranto, le Eolie, Palermo. A settembre, quando l’Europa era prossima a essere investita dalle nuove ondate del virus, loro passavano le colonne d’Ercole, rotta sulle Canarie. E ancora il difficile attraversamento dell’Atlantico, tra burrasche durate ore e ore, le tappe a Capo Verde e poi a Martinique.
Infine, una lunga pausa al porto di Marigot, all’isola di Saint Martin. È da lì che Domonkos, al telefono, racconta l’esperienza della famiglia navigatrice. «Sono qui con Anna, con le due bambine», racconta a Il Piccolo. Dopo avere passato lo scorso inverno a preparare la barca «siamo partiti in aprile per l’Italia e poi abbiamo fatto rotta, lentamente, su Gibilterra», ricorda. La pandemia ha permeato tutto il viaggio. L’idea originaria era «quella di stare sulla barca», una sorta di rifugio sicuro, mentre poi si è deciso di puntare il timone al largo, in primavera. «Siamo stati spesso costretti», a causa delle misure restrittive, «a rimanere all’àncora o in isolamento, mentre alcune destinazioni ci sono state precluse, come la Polinesia francese, che ha sbarrato i confini». L’obiettivo resta comunque il Pacifico, da raggiungere forse entro l’anno.
Ma si può concepire l’abbandono di una vita normale, per di più con figli piccoli al seguito? Secondo Domi, sì. «Le bambine fanno scuola ogni giorno al mattino con la mamma e poi ci sono i meeting online con le maestre», racconta, anticipando che forse le figlie parteciperanno anche alle lezioni di una scuola a Saint Martin, per due settimane, «per stare con bambini» e non perdere del tutto la routine scolastica. «I bambini – aggiunge – se la godono, hanno una vita diversa, nella natura, conoscono altre nazioni e culture, ma a loro mancano amici e compagni di classe», confessa. Anche il lavoro non è un problema, sostiene il padre, che continua a lavorare in remoto come software developer; «e qui non paghiamo bollette della luce o assicurazione per l’auto».
Bambini in navigazione nell’Oceano. E i pericoli? «All’inizio avevo un po’ paura, ma ora penso sia tutto perfetto», spiega Anna, la madre. «Nella vita può succedere di tutto, anche a casa o a scuola ci sono pericoli», fa eco Domi. Tornare a casa? «No – chiosa Domi – dopo l’Atlantico abbiamo capito che questa vita ci piace. E ci piace la libertà. Continueremo, non so per quanti anni, forse cinque, forse sei, finché potremo». E di certo fino a che la pandemia non sarà terminata. —
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