«Da 30 anni a Melbourne ma mi sento a Trieste»

Melbourne, Australia. Qui, la bora tira da Sud. E quando spazza la penisola di Mornington, per i triestini di quaggiù è un po’ come andare a spasso sul molo Audace.
«Non ci siamo mai arresi - afferma Dario Nelli, emigrato a 20 anni da Largo Barriera vecchia seguendo Adriana, la donna della sua vita con passaporto australiano, e radici a Isola d’Istria. «Non so come mai Trieste si aggrappi all’anima della sua gente a questo modo; sta di fatto che, mentre gli emigrati da altre regioni hanno in genere mutuato abbastanza rapidamente le abitudini di qui, noi abbiamo opposto resistenza. Chi sentiva la mancanza della Val Rosandra si spostava fino ai Granpians per una arrampicata. L’osmizza la cercavamo a Mitchelton, una cantina un’ora e mezza a nord di Melbourne. Io e mia moglie, per anni, abbiamo continuato testardamente a passeggiare in centro, la domenica. Ma il centro era deserto; i negozi chiudevano sabato a mezzogiorno, e fino a lunedì mattina non se ne parlava più: per un aperitivo, bisognava raggiungere il bar dell’aeroporto. Non abbiamo rinunciato neppure ad “andar al bagno”: Sandrigham è stata la nostra Barcola».
Nelli ha i capelli ricci, striati di bianco. Da quasi 30 anni al Globo, da cronista a direttore. «Ho iniziato il giorno del mio compleanno, 27 maggio 1984, raccontando la partita Adelaide City–South Melbourne Hellas. Che finì zero a uno». Il calcio è stata l’àncora di salvezza, in quei week-end vuoti. «Giocavo per la Triestina. La “Triestina” di quaggiù, ad Essendon. Quarta divisione, Metropolitan League. Campo in erba: e chi aveva mai visto l’erba, a Trieste? Lo spogliatoio era anche la sede del club dei triestini, non a caso chiamato confidenzialmente “la Baracca”, perché era costruito in legno».
Da giornalista, Nelli ha tenuto d’occhio l’emigrazione italiana da un osservatorio privilegiato. «La prima ambizione degli emigranti arrivati qui è stato avere la casa con giardino. Hanno compiuto sacrifici enormi per realizzarla». Il 70% ci è riuscito, contro il 30% di altre etnie. «Gli emigrati della grande ondata, nel primo dopoguerra, sono diventati cittadini australiani molto presto, rinunciando al passaporto italiano, perché a quei tempi quella era la norma. Recentemente si è aperta una finestra per ottenerlo nuovamente. Finestra brevissima però: circa un anno, e così pochi ne hanno approfittato. La cittadinanza perduta ha ridotto molto l’ambito di chi avrebbe potuto partecipare alle elezioni e l’astensione ha circoscritto ancora di più la partecipazione. Il centrodestra, frazionato, e con un Berlusconi che in Australia non convinceva come in patria, ne è uscita sempre sconfitta». Gli italiani d’Australia, specifica infatti il direttore del “Globo”, hanno consegnato il mandato, ogni volta (nel 2006, 2009 e 2012) a un deputato e un senatore del centrosinistra.
«Il giornale - dice Nelli - è sempre stato il punto di incontro della nostra gente, e ancora oggi lo zoccolo duro, e sono migliaia di lettori, non ne vuole fare a meno. Cerca anche di raccontarli agli altri e di difenderli. La prima grande battaglia è stata combattuta sulla nostra stampa perché fossero ammessi i ricongiungimenti familiari. In un caso invece abbiamo fatto fuoco e fiamme per una vignetta pubblicata da un periodico di quaggiù: una cartina dell’Italia dove la definizione topografica meno offensiva era “Costa Nostra” indicando, sul Tirreno, tutta l’area dalla Campania in giù. Abbiamo ottenuto le scuse. Ma solo anni dopo, e con un trafiletto. Così vanno le cose».
Poi Nelli ricorda un’altra grande mobilitazione, stavolta tutta per i connazionali lontani, la raccolta di denaro per i terremotati. Nel caso dell’Abruzzo, «persino con il concorso del governo australiano. Abbiamo fatto arrivare in Italia un milione e mezzo di euro”.
E oggi? Come cambia l’emigrazione? C’è ancora qualcuno che guarda all’Australia con la speranza di trovare lavoro e una nuova vita? «Ricevo giornalmente una decina di domande di lavoro dall’Italia - conferma il giornalista -, mai nessuna da Trieste. Perché la nostra è stata una emigrazione dettata da ragioni politiche, più che economiche. Una rotta disegnata dalla storia».
Anche nell’animo dei discendenti l’Italia non molla la presa: «Nella seconda generazione, il senso di appartenenza si era un po’ perso. È riemerso invece, forte, nella terza. Io - dice Nelli - per molti anni ho vissuto come se Melbourne fosse lungo la costiera». Tra Sistiana e Duino. «Poi sono arrivate le figlie. Legatissime a Trieste, tanto da contagiare anche i mariti. Chris, per metà irlandese, quando circola in macchina per Melbourne ascolta le canzoni di Pilat. Joseph, juventino, si sveglia la notte per seguire le partite. Però, Emanuela e Lara sono state un segno. Hanno spostato l’equilibrio da Trieste all’Australia.
«Eppure - conclude Nelli - dopo tanti anni, io mi sento ancora un po’ in trasferta. Trieste è la mia città, Melbourne il luogo dove abito. Però non so se tornerei stabilmente in Italia. Melbourne in questi anni è cambiata molto. È bella. Mi piace. L’ideale sarebbe trascorrere sei mesi qui, e sei mesi giù a Trieste. Sì, lo so, dovrei dire “su” a Trieste. Ma la frase mi è rimasta in testa così».
Nereo Balanzin
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