Cultura, Pahor: "Necropoli al Verdi, unione tra due anime"
L’anziano scrittore: "È un’idea che mi piace, sono contento per il mio popolo"
TRIESTE.
«Sono contento, molto contento personalmente. Ma più contento ancora per la comunità slovena. Questa è una sorta di rivalsa popolare. Che avviene con la cultura. Senza scontri. Mi sono ricordato proprio stamattina, ascoltando alla radio la notizia che ”Necropoli” sarà rappresentato al Verdi di Trieste in lingua slovena, di come questa sia veramente una rivalsa culturale...».
Boris Pahor, la cui lunga vita è un documento del tragico Novecento, più tragico ancora su questi confini, diventa un simbolo e anche un mezzo dei nuovi stili di cittadinanza che si stanno scrivendo tra Trieste e il mondo sloveno.
Il fatto che il 4 dicembre, e proprio al teatro Verdi, sia rappresentata per iniziativa dei sindaci di Trieste e di Lubiana la sceneggiatura in sloveno tratta dal suo libro sui lager, «Necropoli» (solo molto tardivamente pubblicato in italiano quando in Francia era già di culto, e premiato) è un atto simbolico secondo solo al concerto di Muti e dei «tre presidenti».
E solo a Trieste uno spettacolo con sottotitoli potrebbe avere tanti e così complessi significati. Pahor lo sa bene.
La sua voce è sottile, ma il cuore è fermo e lucido come una pietra eterna. «Mi piace molto questa idea - dice -, perché sa, io sono nato qui, nel ghetto di Trieste, e il fatto che venga usata la mia lingua, be’, è proprio un ”colpo”. Trieste si dimostra un Comune europeo». Ma è alla comunità nel suo insieme che appunto lo scrittore subito pensa: «Perché noi sloveni - ricorda - abbiamo patito l’incendio dei nostri libri proprio in piazza San Giovanni, dove c’è il monumento a Verdi, e adesso questa lingua, e dico una lingua mica un dialetto che si voleva sopprimere, va in scena proprio al teatro Verdi...
Si realizza l’unione delle due anime, come le chiamava Slataper, e vengono riconosciute in maniera pubblica, e culturale. Verdi si sarebbe certamente opposto a veder bruciare dei libri - sussurra lo scrittore -, la cultura italiana non ha tendenze fasciste, è l’Italia che purtroppo ha avuto questa sciagura».
E il sindaco Dipiazza, che s’era visto rifiutare da Pahor l’offerta della civica benemerenza perché nella motivazione non erano citate le sofferenze patite sotto il fascismo? La «sorpresa» del 4 dicembre cancella quel momento. «Io glielo avevo scritto prima - ricorda Pahor -, volevano darmi il riconoscimento perché ho fatto il campo di concentramento, ma io (avevo scritto al sindaco) ho patito anche prima, mi è stata negata la mia lingua, io la lingua vera, la grammatica, e anche la lingua letteraria slovena ho dovuto studiarle dopo, da solo, una volta uscito dal lager. Non portatemi a dover rifiutare l’onoreficenza, avevo detto». Ma si sa com’è andata.
Che si preparasse un evento simile Pahor lo aveva saputo dal suo regista, Boris Kobal («È stato mio studente quando insegnavo»). «Ma che le decisioni erano state prese davvero l’ho sentito alla radio, ho provato una grande sorpresa, e sono subito uscito a comprare il giornale...». Più emozionante questo evento, nella sua città, che l’ultimo premio ricevuto in Francia: dopo la Legion d’onore, una settimana fa il premio del ministero della Cultura. «In Francia mi vogliono molto bene». E Pahor il francese l’ha imparato nei lager, accanto ad altri prigionieri, quelli che in «Necropoli» sfilano come ombre davanti agli occhi turbati del reduce.
«Anche con Fabio Fazio in tv - prosegue Pahor - io ho parlato di questa lingua negata, e la gente a casa qui a Trieste piangeva. Io parlavo di fascismo, e loro piangevano. Non è stato incendiato solo l’ex Balkan, ma anche una casa a San Giovanni, che ci vorrebbero molti milioni per rimettere a posto, e una casa a Barcola. Più tutto il resto. Uno studioso adesso l’ha chiamato, in un libro, ”linguicidio per decreto”, nel ’26 ben 50 mila cognomi sono stati italianizzati...».
Tutto va, e tutto torna. Ma in questi giorni il male si ribalta in bene, perché l’omaggio ufficiale è doppio, a distanza di pochi giorni: oggi a Muggia va in scena una raccolta di testi di Pahor, «...Il mio indirizzo triestino», con regia di Giorgio Pressburger, vengono esposti suoi libri, e subito dopo sarà tempo di pensare agli inviti per la «prima delle prime» a teatro, nel nome di Verdi.
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