Crisi-euro, rischi di contagio nella Nuova Europa

Un rapporto di Intesa fotografa la crisi slovena che si prepara a vendere i gioielli di Stato. Sotto osservazione Croazia e Ungheria
Di Piercarlo Fiumanò
Protesters during a rally against the ratification of a one-off tax infront of the Cypriot parliament in Nicosia, Cyprus, 18 March 2013. ANSA/FILIP SINGER
Protesters during a rally against the ratification of a one-off tax infront of the Cypriot parliament in Nicosia, Cyprus, 18 March 2013. ANSA/FILIP SINGER

TRIESTE. «Si sposti Cipro, avanti la Slovenia»: il Washington Post fotografa così l’emergenza economica nel Paese finito di recente sotto i riflettori della crisi finanziaria di Eurolandia. Ma c’è un altro fattore che preoccupa i mercati e cioé i rischi di contagio nella Nuova Europa. Infatti nella lista dei sorvegliati speciali potrebbero finire anche Ungheria e Croazia. L’ultima nota congiunturale elaborata dagli analisti del gruppo Intesa San Paolo fotografa la situazione in alcuni Paesi “chiave” della Nuova Europa: «Il rallentamento dell’attività e il deterioramento della qualità del credito -scrive il rapporto- hanno portato a un peggioramento dei risultati bancari in particolare in Ungheria e Slovenia. Le sofferenze stanno aumentando e superano il 20% degli impieghi in alcuni Paesi», si legge nel report.

Nonostante l’attenuarsi delle preoccupazioni sulla crisi del debito sovrano nell’area euro abbia favorito un calo degli spread adesso la ruota della crisi sta girando di nuovo nella direzione più sgradita ai mercati. Si stanno manifestando focolai di crisi che potrebbero determinare un effetto contagio a Est dagli esiti imprevedibili.

La Slovenia esclude piani di emergenza ma pensa alla vendita dei gioielli di Stato. Si pensa alla privatizzazione di alcune aziende pubbliche entro la fine dell’anno: si fanno i nomi di Telekom Slovenia, Zavarovalnica Triglav e Petrol. Ma anche Zagabria torna nel mirino dei mercati per la mancata attuazione di riforme strutturali in vista dell’ingresso nell’Unione Europea nel luglio 2013. Un Paese che non può permettersi passi falsi nel clime attuale di austerity e di malcontento sociale che dilaga dal Vecchio Continente alla Nuova Europa.

Anche il governo ungherese starebbe già pensando a ipotesi di nazionalizzazione dell’industria bancaria mentre i mercati si attendono che la Banca Centrale proceda nuovamente con riduzioni del tasso di sconto per sostenere l’economia. Ci sono forti preoccupazioni degli investitori sulle azioni di politica economica del primo ministro Orban e sugli orientamenti di politica monetaria del nuovo Governatore. Gli attriti con le autorità internazionali hanno a loro volta portato a un indebolimento del fiorino. Le pressioni sui cambi cominciano a farsi sentire. Per queste ragioni anche l’Ungheria è entrata nel raggio di osservazione delle agenzie di rating: Standard & Poor’s ha rivisto il proprio outlook sulla valutazione BB data al debito sovrano a lungo termine del Paese da stabile a negativo.

Luci e ombre anche sulla Croazia. Per gli analisti di Intesa San Paolo «sul Paese pesa una persistente debolezza economica, cui le autorità non sembrano rispondere con una adeguata azione di riforme strutturali». É la ragione per cui lo spread della Croazia resta in tensione. Meno pessimisti gli analisti di Unicredit soprattutto dopo l’accordo sulla disputa bancaria con la Slovenia: «La Croazia si avvia a tagliare a breve il traguardo dell’adesione all'Unione Europea (prevista per luglio 2013). L’intesa trovata in questi giorni garantisce al Paese una pronta ratifica del trattato di adesione da parte della Slovenia e rimette nelle mani della Banca dei Regolamenti Internazionali l’arbitrato bancario, stavolta scevro delle pregiudizievoli che in passato avevano impedito un accordo».

La situazione economica in Slovenia viene analizzata anche in un breve report uscito il 27 marzo a cura degli analisti di UniCredit Political Risk & Country Analysis: «I bei tempi del virtuosismo economico sono lontani. Il nuovo esecutivo avrà l’arduo compito di rilanciare l’economia del Paese conferendo nuova credibilità alle sue istituzioni politiche», si legge.

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