Costa: l’Adriatico decolla con l’off shore di Venezia

TRIESTE. «L’unica possibilità di salvezza per tutti i porti del Nord Adriatico». Così Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale di Venezia definisce ciò che i concorrenti etichettano come un suo delirio di grandeur: il porto off shore da 2,1 miliardi per attirare container e gas liquefatto su una piattaforma 8 miglia marine al largo della laguna. Una «macchina portuale» con una sorta di nastro trasportatore che composto da pontoni di carico imbarcati su navi semiaffondanti collegherebbe il terminal d’altura con altri quattro a terra, collocati rispettivamente a Marghera, Chioggia, Mantova e Porto Levante. È venuto a illustrarlo nella “tana del lupo” perché da Trieste è partita la più strenua opposizione al progetto guidata dal senatore Francesco Russo e dalla governatrice Debora Serracchiani.
Presidente Costa, ma a cosa serve il porto off shore?
Nasce da un problema tutto veneziano, poi diventa qualcosa di completamente diverso. Nasce perché con il Mose le tre bocche di porto si chiudono. Quando le barriere mobili sono su impediscano la navigazione e quindi si pensa alla creazione della conca di Malamocco. Viene progettata nel 1998, ma allora il gigantismo navale era imprevedibile. La conca sarebbe venuta a costare 800, 900 milioni di euro, ma avrebbe creato fondali di 13 metri al massimo, non più di 12 nei canali interni. Sciocco dunque investire per questo 900 milioni e allora ci si chiese: esiste un’alternativa? È così che nel 2008 all’inizio del mio mandato nasce l’idea del porto off shore che vado a proporre al ministero delle Infrastrutture. L’Accordo di programma è del 2011 e il contratto con il governo dice: si fa l’off shore e solo in subordine, qualore non fosse possibile, si fa la conca. Viene così previsto che il ministero presenti al Cipe l’operazione. L’idea incrocia anche un vecchio progetto inserito nella Legge speciale per Venezia che prevede che il porto petroli venga spostato in un punto fuori dalla laguna identificato già nel 2004 dal ministro Lunardi. La localizzazione non è stata diunque scelta a caso. Ora si parla solo di container, ma non solo quale dei due terminal previsti partirà per primo.
Dunque avete scoperto che vale proprio la pena di farlo?
A Bruxelles nel 2008 durante la presidenza slovena si incomincia a parlare di Corridoio Adriatico-Baltico. A Bled l’incontro dei ministri europei dei Trasporti mette l’accento sulla revisione delle reti Ten-T. Tutto in Europa si sta spostando verso Est, per cui è opportuno valorizzare l’Adriatico. Quanto al Corridoio conviene partire da Sud perché nei porti del Nord c’è congestione. L’Adriatico-Baltico a Sud non ha un’uscita a estuario, ma a delta e coinvolge Ravenna, Venezia, Triete, Capodistria e Fiume.
Quale convenienza nel voler rafforzare tutti i bracci del delta?
I livelli di traffico devono essere quasi comparabili a quelli del Nord. Questi cinque porti adriatici tutti assieme adesso fanno 2 milioni di teu, una cifra ridicola. Eppure nascono le polemiche perché giochiamo a rubacchiarci diecimila contenitori l’anno. Ma l’Europa ci verrà incontro solo se saremo in grado di fare massa critica. 5,8-6 milioni di teu è la cifra minima per contare a livello europeo altrimenti salta tutta l’attenzione verso di noi.
Ma non conviene rafforzare le infrastruture già esistenti?
Qui il mercato è fatto di due sottomercati: Trieste, Capodistria e Fiume guardano all’Austria e all’Est Europa, Venezia e Ravenna alla Pianura padana, alla Svizzera, alla Germania meridionale. Riusciamo a portare le navi dirette dal Far East solo se li serviamo entrambi. Dunque il sistema sta in piedi solo se ha due punti di sbocco: uno a Est e uno a Ovest. I porti devono oltretutto avere tre caratteristiche: fondali, spazi a terra e capacità di inoltro. Nessuno da solo le ha tutte. Dunque l’Italia è obbligata a fare lo sforzo del porto off shore perché quest’area possa servire la struttura produttiva del Paese e essere industria portuale in quanto tale, competitiva con il resto del mondo. C’è anche la considerazione aggiuntiva che Venezia dal punto di vista geografico è il porto più vicino alla struttura produttiva perché la manifattura italiana si è spostata e oggi sono più importanti i porti adriatici rispetto a quelli tirrenici. Ciò è ben chiaro a Genova che cerca di far sbaruffare Venezia e Trieste tra di loro.
In quale ordine cronologico però vanno rafforzati i porti dell’Alto Adriatico?
Se si riusscisse a far funzionare quei due pezzi dello stesso porto che sono sostanzialmente Trieste e Capodistria, questo sarebbe certamente il primo miracolo da fare. Visto che non sarà possibile, a Trieste spetta la priorità, ma poi bisogna pensare anche all’altro versante. Se Ravenna va avanti prima, bene così anche se quello scalo ha forti limiti strutturali. Noi possiamo tranquillamente arrivare buoni ultimi, ma dopo il 2020, il porto off shore di Venezia sarà irrinunciabile.
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