Cittadinanza: a mano tesa o a testa alta?
TRIESTE Ci sono classifiche in cui si farebbe volentieri a meno di essere al vertice: Trieste terza, Gorizia quarta nel nord Italia del reddito di cittadinanza non sono medaglie da appendersi al collo con orgoglio. Sono il segno di una sofferenza, di un rimanere irrisolti: terra di confine eterno tra il proprio passato, ferito e assistito, e un domani indefinito. La misura, discussa e discutibile al di là dei suoi effetti, serve intanto a fotografare l’esistente: una quota di cittadini, qui significativamente alta che vi fa ricorso. Per rassegnazione, neghittosità (non bisogna nascondersi nulla, non bisogna accusare nessuno di nulla), abitudine al trovare qualche mano generosa. Ma anche perché sul territorio la creazione di lavoro (decentemente pagato e garantito) non è stata una priorità per la presunta classe dirigente.
Certo, si sono difese dove possibile posizioni, hanno autonomamente ripreso vigore snodi vitali come il porto e i cantieri navali: ma quel fatalismo non solo letterario, figlio anche di un’incomunicabilità latente e/o sostanziale, che accompagna da decenni questa terra finisce per moltiplicare chi (ora come in passato) chiede al vilipeso Stato centrale di lenire almeno in parte l’irresolutezza del territorio. Eppure a Trieste e a Gorizia qualche sensore attivo c’è (pensiamo ai “ragazzi” che nei giorni scorsi hanno lanciato da qui Generazione Zero); qualche condizione per cambiare rotta ci sarebbe, insieme a esempi spesso misconosciuti (anche per questo da oggi Il Piccolo racconta “Le fabbriche della scienza”, quel Distretto Trieste che poteva/potrebbe esserci e invece non c’è: nel senso che esistono realtà vive ma non in condizione di fare sistema, seminare la propria esperienza così che il raccolto di innovazione, ricerca e rischio d’impresa sia condiviso). Qualche sfida da giocarsi ci sarebbe: non darebbe elemosine, ma un ritorno in termini di appartenenza e fiducia, di speranza in un futuro a testa alta e non a mano tesa.
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