C’è la commedia umana nel gran Teatro di Timmel
GORIZIA. «Per Vito Timmel non occorrono molte parole. Il suo nome è la sua opera. Tutti sanno ch’egli è un geniale decoratore: la Sala Massima del Circolo Artistico, il fregio del Cine Italia e il Teatro di Monfalcone danno ragione alla fama ch’egli gode giustamente». Con queste parole Cesare Sofianopulo, sulla rivista triestina “Orizzonte italico” del febbraio 1923, in un lungo e approfondito articolo introduceva il commento all’opera “Gli infelici” di Vito Timmel.
Dunque Timmel era un “geniale decoratore” che proprio nel Teatro di Panzano, sorto tra il 1920-21, riunisce in chiave del tutto nuova le due precedenti esperienze, come annota Franca Marri nel volume intitolato “Il teatro di Vito Timmel”, in cui evidenzia come Timmel avesse decorato i diversi ambienti del Teatro con motivi in parte derivati dalla Sala Massima, per lo più di nuova invenzione, e riprendesse l’idea del fregio continuo con i personaggi tratti dalla storia della letteratura, teatrale e non, dal Cinema Ideal. Il volume affianca la mostra “Vito Timmel. Suggestioni secessioniste a Monfalcone”, visitabile fino al 30 marzo a ingresso gratuito nelle sale della Fondazione Carigo in via Carducci a Gorizia, esposizione allestita insieme al Consorzio culturale monfalconese. Aperta nelle giornate di mercoledì, giovedì e venerdì dalle 16 alle 19, il sabato e la domenica dalle 10 alle 19. Ogni domenica sarà programmata una visita guidata alla mostra.
La decorazione del teatro di Panzano riassume le varie espressioni e i diversi stili che sino ad allora Timmel aveva sperimentato. La sua pittura inizialmente indirizzata verso modelli del verismo italiano, rivisitati secondo uno stile postimpressionista di scuola tedesca, si volge al simbolismo e allo stile secessionista.
Tra le imprese più impegnative dell’artista triestino, il Teatro progettato da Dante Fornasir, l’ingegnere che già prima della Grande Guerra aveva lavorato alla progettazione e pianificazione del villaggio operaio di Panzano, e che avrebbe dovuto chiamarsi “Teatro Euripide”, in realtà faceva parte di un complesso più ampio denominato “Alloggio per operai con teatro e bagni” di chiare ascendenze secessioniste combinate a declinazioni neorinascimentali.
Tutti i motivi decorativi ideati da Timmel che ornavano i diversi ambienti, dalla platea al boccascena, dal ridotto, all’atrio, alla palestra, alle decorazioni esterne del Teatro erano vicini allo stile secessionista per la loro geometria e i richiami all’arte del passato.
Per la platea Timmel scelse di riprendere i motivi ornamentali da lui già utilizzati per la decorazione della Sala Massima del Circolo Artistico Triestino con la linea ondulata che corre a descrivere l’arco del boccascena tra motivi ovoidali presenti anche in alcuni dipinti degli anni dieci, ovvero quelli che rivelano un’evidente suggestione klimtiana rimeditata e rielaborata in chiave personale. A Monfalcone però si aggiungono le cime marinare che si moltiplicano lungo le parti verticali formando motivi arabescati intorno all’emblema dei Cantieri Navali Triestini ripetuto ai due angoli superiori.
Dalla Sala del Circolo triestino viene ripreso anche il motivo delle fasce orizzontali bicolori sulle colonne quadrangolari come nella facciata esterna del teatro. Nell’ingresso poi motivi geometrici in stile Joseph Hoffmann, si alternano a motivi arabescati, mentre negli spazi del ridotto influssi bizantini si fondono al tardogotico veneziano; infine nella palestra vengono inaspettatamente riproposte decorazioni di derivazione romanica.
Con la rappresentazione della storia del teatro secondo Timmel, è l’intera commedia umana a venir messa in scena con le sue gioie e i suoi dolori, attimi spensierati alternati a momenti di disperazione, tra amori e tradimenti, passioni e uccisioni, serenità e tormenti, ironia e sarcasmi. In questo senso le cinque maschere del boccascena forniscono allo spettatore il primo strumento di lettura dell’intero ciclo pittorico di Timmel.
Per quanto riguarda invece i pannelli interni, Timmel ha spaziato dai classici ai protagonisti della letteratura teatrale contemporanea allora di moda: accanto alla Giuliette di Shakespeare, si trova Giannetto e Neri della “Cena delle beffe” di Sem Benelli, accanto a Colombina e Arlecchino di Goldoni, l’Ippolito e il San Sebastiano di D’Annunzio, Mafarka di Marinetti o personaggi minori di drammi ora quasi dimenticati, come Forchis della tragedia di Morselli intitolata “Glauco”, o Cecco Angiolieri rivisitato da Nino Berrini.
Sul “Piccolo della sera” di quegli anni, Silvio Benco aveva così riassunto l’arte di Timmel e la sua personalità: “Il Timmel ha un temperamento complicato e indiavolato e non da oggi lo teniamo come un artista di grande valore (…). È un deformatore, ma è prima un padrone della forma. È un colorista arbitrario e fantastico, ma è prima un padrone del pennello e del colore (…) impavido domatore delle più ardue esasperazioni del colore”. Scelte eclettiche che Timmel ha interpretato attraverso una linea vigorosa che descrive contorni e movimenti, a cui fa eco la forza del colore utilizzato, dai violenti contrasti cromatici laddove sia necessario dare un accento deciso al personaggio, oppure dalle velature leggere e raffinate nel commentare la grazia e l’eleganza di una figura. Linee e colori vengono sapientemente calibrati con grande abilità ed estrosa fantasia dall’artista, che sa riassumere in pochi ma precisi tratti tutto il senso di una storia. E accanto alle influenze dell’arte di Klimt si ritrovano suggestioni espressioniste e talora, ammiccamenti futuristi.
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