«C’è il punto franco? Allora niente Imu». Spedizionieri in guerra

Il presidente Visintin prende posizione contro il Comune di Trieste: «Non dà servizi, non chieda soldi alle imprese portuali»
Stefano Visintin
Stefano Visintin

TRIESTE «Le autorità del Territorio Libero non percepiranno sulle merci in importazione, in esportazione od in transito attraverso il Porto Franco né dazi doganali, né altri gravami, che non siano in corrispettivo di servizi prestati».

Nella sede di via Valdirivo Stefano Visintin, presidente dell’Associazione spedizionieri triestini aderente a Confetra, legge con malcelata voluttà il secondo paragrafo dell’articolo 5 dell’Allegato VIII del Trattato di pace parigino risalente al 1947. Perchè questo riferimento a una norma di diritto pubblico internazionale sovraordinato blinda, a suo giudizio, la posizione dei concessionari di beni demaniali in porto, che non intendono pagare l’Imu al Comune di Trieste. Il regime di Punto franco tutelerebbe - secondo questa interpretazione - gli operatori portuali triestini. Una delicata e importante battaglia giuridica, che dura da oltre dieci anni e sull’esito della quale danzano quasi 5 milioni di euro. A seconda della tipologia del ricorso, sono impegnate le giurisdizioni tributarie (Commissione, provinciale, regionale, Cassazione in ultima battuta) e amministrative (Tar e Consiglio di Stato).

L’Associazione si schiera dalle parte delle imprese, come è lecito attendersi. Per ragioni di merito e per motivi di convenienza economica, perchè - spiega Visintin - l’Imu si scarica sulla merce, cioè al termine della giostra il tributo comunale si spalma sulla tariffa pagata dal cliente finale, appesantendo i costi delle operazioni, alla faccia della competitività dello scalo.

Ma il dato portante nel ragionamento di Visintin si concentra su quel «corrispettivo di servizi prestati» contemplato dall’Allegato VIII: come può il Comune chiedere il pagamento di un’imposta dal momento che non “corrisponde” alcun servizio in base al quale legittimare la dazione? Per esempio, lo Stato, attraverso l’Autorità, svolge una serie di attività, che motivano la corresponsione di una tassa: non è però il caso del Comune, che di attività al di là dei recinti puntofranchisti non ne svolge.

Ma il secondo paragrafo dell’articolo 5 viene da Visintin corroborato da una più recente disciplina: alla ragguardevole distanza di 23 anni dalla previsione contenuta nella legge di riforma 84/1994, nel luglio dello scorso anno il ministro delle Infrastrutture, che era il “dem” reggiano Graziano Delrio, ha emanato il decreto intitolato “organizzazione amministrativa per la gestione dei punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste”. Visintin ne sottolinea il comma 1 dell’articolo 3: «Il porto franco di Trieste è amministrato dall’Autorità di sistema portuale». Poco dopo, al comma 3, la lunga serie di competenze attribuite al presidente. Ma del Comune, fa capire il presidente degli spedizionieri indigeni, nessuna traccia. «In porto - conclude Visintin con un filo di contenuta rivendicazione - lavorano oltre 80 aziende, non meno di 10 mila persone. Terminalisti, spedizionieri, agenti, piloti, addetti al rimorchio. Il maggiore fattore occupazionale triestino merita rispetto e ascolto».


 

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