carnevalata? no: sarà un test di civiltà

Lo stesso scalpore, la stessa immediata contrarietà di molte reazioni all’annuncio che Trieste ospiterà il GayPride del Friuli Venezia Giulia confermano che questo tipo di eventi continua ad avere un significato: attuale e profondo. Sono la risposta più semplice a chi, non volendo ammettere il residuo fastidio o l’eterna ostilità verso la diversa identità sessuale, verso la molteplicità umana, finge di chiedersi a cosa serva oggi una simile “carnevalata” in piazza: oggi che chi dice così non capisce proprio dove i diritti siano negati, oggi che anche loro hanno tanti amici omosessuali, oggi che addirittura ci sono le lobby gay a gestire poteri più o meno importanti...

Quell’oggi, invece e purtroppo, è ancora altro: è il persistere di discriminazioni sottili ma pesantissime, di violenze psicologiche diffuse, di ostacoli al pieno esercizio di facoltà non più discutibili, di faticosa tolleranza quando, anche legati a convinzioni di fede, si dovrebbe parlare al più di incontro, ascolto, comprensione. Di rispetto, prima di tutto: stando alla larga dalla tentazione di aggiungere fantasmi ai tanti che questa società già agita, su cui scaricare paure grevi o istinti di autoconservazione che conducono solo al reprimere l’altro da sé. Il GayPride sarà, e lo è già, un preciso termometro del grado di civiltà di una terra adulta come questa: che sa bene, per mille rivoli di storia, cosa significhi dover soffrire semplicemente per poter essere ciò che si è, o poter diventare, davvero e a cielo aperto, ciò che si è senza esserne schiacciati. Nella speranza che Trieste sappia accogliere senza ipocrisia, sia capace non di compassione ma di condivisione e di un gesto d’amore: perché «è bene... conciliare in noi l’offesa, ma se la vita all’interno ti pesa tu la porti al di fuori», scriveva Saba. E fuori (anche con parrucche, tamburi e glitter a dire che non si vuol più essere silenziati e invisibili) si può incontrare chiunque. Ognuno diverso, ciascuno uguale a noi: parte di noi.–

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