Carisma e intuizioni di Cavalli-Sforza
TRIESTE Lo incontrai la prima volta nel 1988, quando da giovane studente di dottorato iniziavo a fare ricerca all’Icgeb; a quel tempo Luca Cavalli-Sforza, scomparso a 96 anni la scorsa settimana, era già un mito nel campo della genetica. Proveniva dalla scuola di Adriano Buzzati Traverso, il pioniere della genetica italiana, che all’Università di Pavia aveva anche sfornato Arturo Falaschi. Lo incontrai proprio nell’ufficio di Falaschi, mentre stava organizzando una spedizione di Dna dall’Africa verso il suo laboratorio di Stanford. Ricordo la particolare aura di fascino e rispetto che emanava. Mi sorprese chiedendomi di dargli del tu, concedendo, a me giovane neolaureato, una libertà tutto impensabile nel mondo accademico italiano – una prassi, questa, che da allora non ho mai smesso anch’io di praticare con i giovani colleghi. Alto, con un portamento elegante, aveva quel carisma che solo la cultura può conferire. Rimasi in contatto con lui per molti anni, nella sua veste di membro del Consiglio Scientifico dell’Icgeb fino al 2005.
Cavalli-Sforza fu uno dei primi a intuire la possibilità di utilizzare la sequenza del Dna per comprendere le basi biologiche della diversità umana; con i suoi studi, di fatto fondò una nuova disciplina, la genetica delle popolazioni. Iniziò a raccogliere il Dna di migliaia di individui in tutto il mondo, diventando anche antropologo sul campo, a capo di spedizioni tra cui amava particolarmente quelle tra i pigmei dell’Africa centrale. Fu anche il primo a mettere insieme la genetica con i dati provenienti dalle fonti più disparate, compresi i cognomi, la lingua parlata o, in Italia, i registri parrocchiali.
Per chi ha avuto il privilegio di conoscerlo, Luca Cavalli-Sforza lascia il ricordo della sua forza ispiratrice e del suo stile impeccabile. Per tutti, i suoi studi marcano in maniera inconfutabile che il concetto di “razze” umane è infondato, perché la variabilità genetica tra individui si distribuisce in maniera continua e proporzionale alla distanza dal momento dell’uscita di Homo sapiens dall’Africa. «Facendo la differenza fra due individui presi a caso in Europa, ripetendo per molte coppie di individui e prendendone la media, e poi paragonandola con la differenza media fra un africano e un europeo, si trova un aumento molto modesto (nel secondo caso). Vale la pena di fare tutto il fracasso che piace di fare ai nazisti?» scriveva Cavalli-Sforza in “Geni, popoli e lingue”, uno dei suoi libri più di successo. Un concetto che dovrebbe fare riflettere soprattutto oggi, in un mondo popolato dai nuovi pigmei, quelli della cultura. —
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