Capodistria-Divaccia: raddoppio bocciato dall’Ue
TRIESTE. Uno schiaffo che fa male quello ricevuto lunedì scorso dalla Slovenia quando il suo progetto per il raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia non è stato inserito nei progetti infrastrutturali per i quali la Commissione europea ha stanziato nell’ambito dei progetti di collegamento europeo (Cef) 13,1 miliardi di euro a cui andranno ad aggiungersi ulteriori 11,3 miliardi di euro per i progetti presentati dai Paesi membri. Complessivamente sono stati finanziati 276 progetti e la Slovenia ha dovuto accontentarsi delle “noccioline” per finanziare progetti minori ma non il raddoppio della Capodistria-Divaccia, opera fondamentale per permettere uno sviluppo a lungo termine dell’unico scalo portuale del Paese.
Alla Commissione Ue, come spiega il commissario ai Trasporti, guarda caso la slovena Violeta Bulc, sono giunti ben 730 progetti con la richiesta di finanziamento, così Bruxelles ha dovuto operare una scrematura concentrandosi soprattutto sui più significativi assi di collegamento transfrontalieri in Europa. E la Slovenia è già la seconda volta che perde il treno dei finanziamenti europei proprio per la linea Capodistria-Divaccia. Fino al 2014 a Lubiana sono stati assegnati in tutto 450 milioni di euro per infrastrutture ferroviarie di cui almeno 225 milioni dovevano essere garantiti alla Capodistria-Divaccia. Ma non se n efece niente per le lungaggini collegate alla realizzazione del progetto tecnico dell’opera infrastrutturale e così la Slovenia “deviò” quei soldi sul potenziamento delle linee ferroviarie nel Nordest del Paese.
Il secondo tentativo è stato fatto nel febbraio di quest’anno, all’ultimo momento utile nonostante il “bando” europeo fosse noto già dal febbraio del 2014. Fu quello un momento burrascoso per il ministro sloveno delle Infrastrutture, Peter Gašperši› il quale rischiò addirittura la poltrona ministeriale. Lui che qualche tempo prima aveva addirittura pubblicamente affermato che la Slovenia non ha bisogno del raddoppio della Capodistria-Divaccia per i prossimi 30-40 anni, suscitando le ire e i clamori di Luka Koper, la società in mano dello Stato peraltro, che gestisce lo scalo del Litorale. Alla fine il governo Cerar decise di inviare la richiesta per un progetto valutato 1,033 miliardi di euro per il quale Lubiana si attendeva un finanziamento europeo pari a 413.277.245 euro. Ma, come abbiamo visto, da Bruxelles lunedì scorso si è levata la fumata nera. Come del resto, ricorda il quotidiano Delo di Lubiana, avevano previsto numerosi analisti sloveni e esperti di infrastrutture e di finanza.
La lista dei progetti scelti dalla Commissione europea il prossimo 6 luglio sarà approvata dal Parlamento europeo e il prossimo 10 luglio dai rappresentanti del cosiddetto gruppo Cef. Un iter nel corso del quale, come conferma il Delo, sarà molto difficile immaginare dei cambiamenti favorevoli alla Slovenia e al suo raddoppio della Capodistria-Divaccia. Il mega investimento europeo per la realizzazione di nuove infrastrutture definito «uno sforzo straordinario» dal commissario Ue ai trasporti, Violeta Bulc «che fino al 2030 sarà in grado di creare 10 milioni di nuovi posti di lavoro e determinerà un incremento del Pil nell’Unione europea pari all’1,8%». Le “noccioline” che sono state riservate alla Slovenia dal cosiddetto “pacchetto Cef” sono 39 milioni di euro per due progetti per togliere il collo di bottiglia presenta all’ingresso della linea ferroviaria nel Porto di Capodistria (costo dell’opera 26 milioni di euro) e per la realizzazione della linea ferroviaria Polj›ane-Slovenska Bistrica che costerà 46 milioni di euro.
E c’è già chi sta cominciando a puntare il dito indice accusatore contro Italia e Austria che avrebbero fatto un’accurata operazione di lobbing perché la Commissione Ue escludesse dai finanziamenti la Capodistria-Divaccia. Si tratta dell’esperto di dirtto della navigazione ed ex ministro dei Trasporti, Marko Pavliha il quale oltre ad accusare il governo di scarsa credibilità e l’attuale ministro ai Trasporti di aver eccessivamente cincischiato sul progetto si chiede chi trarrà vantaggio dalla bocciatura patita dalla Slovenia e si risponde facendo due nomi: Italia e Austria che, secondo Pavliha, hanno abilmente approfittato dell’incapacità di Lubiana di far valere i propri interessi in ambito europeo.
Rassegnato il commento rilasciato al Delo di Lubiana dal presidente del cda di Luka Koper, Dragomir Mati„. «La decisione della Commissione europea non ci sorprende - afferma - del resto ci si potteva aspettare qualcos’altro visto l’attivismo delle autorità preposte?», si chiede con polemica ironia. «Adesso bisogna vedere come il governo reagirà a questa decisione di Bruxelles, noi intanto, nonostante i miglioramenti fatti, rimaniamo con un unico binario tra Capodistria e Divaccia, linea peraltro vecchia e inadatta per i canoni europei».
Come confermato dallo stesso ministro alle Infrastrutture, Peter Gašperši›, il governo di Lubiana si attendeva un responso negativo da quando si era venuti a sapere che a Bruxelles erano giunti ben 730 progetti del valore di 36 miliardi di euro. Secondo il ministro il progetto del raddoppio della Capodistria-Divaccia è stato ritenuto rilevante dai commissari europei, ma è stato bocciato perché privo di una definitiva costruzione finanziaria. Per la Slovenia però ci sono gli “esami di riparazione” nel senso che in autunno e poi il prossimo anno saranno operativi altri due “bandi” europei per investimenti in infrastrutture. Il ministro afferma che ci sarà la costruzione finanziaria definitiva ma ha altresì detto che non si sa ancora se Lubiana opterà per l’appuntamento di novembre o quello del prossimo anno. «Tutto dipende - spiega il ministro - dallo stato di avanzamento della ricerca di un partner privato». E all’orizzone ce n’è più d’uno. La Cina, la Turchia, la Francia e la Germania hanno già avviato contatti con Lubiana. In pole position, per ora, c’è la turca Yapi Merkezi che ha già avuto contatti con il ministero delle Infrastrutture e Pechino che peraltro non ha posto come condizione discriminante il fatto di utilizzare solo manodopera cinese.
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