Capire la Cina, crisi e rinascita di un impero

Il libro del sinologo Samarani offre al lettore le chiavi di lettura dell'ultimo secolo cinese
epa06644667 (FILE) - Border guards work at a container port in Qingdao, Shandong province, China, 08 March 2018 (issued 04 April 2018). China will place 25 percent tariffs on a list of 106 US goods, in a retaliatory action against the US's new tariff on Chinese products. EPA/YU FANGPING CHINA OUT
epa06644667 (FILE) - Border guards work at a container port in Qingdao, Shandong province, China, 08 March 2018 (issued 04 April 2018). China will place 25 percent tariffs on a list of 106 US goods, in a retaliatory action against the US's new tariff on Chinese products. EPA/YU FANGPING CHINA OUT

È la fine dell’ottobre 2017, il diciottesimo congresso del Partito comunista cinese si è appena concluso e in tutto il mondo circola l’immagine del nuovo politburo: cinque uomini in completo nero, cravatta e camicia bianca. Sullo sfondo un quadro a parete della grande muraglia. Al centro il segretario generale, Xi Jinping, il cui pensiero è appena diventato parte della Costituzione della Repubblica popolare. Unico tra i suoi predecessori, oltre a Deng e al fondatore Mao. Le liturgie del potere cinese, il suo linguaggio, sfuggono spesso alla comprensione del lettore europeo. Manca la familiarità anche minima con la storia cinese antica e recente. Per quest’ultimo ambito cronologico arriva in soccorso, in versione aggiornata fino all’anno corrente, la nuova edizione di La Cina contemporanea – Dalla fine dell’Impero a oggi (Einaudi, pagg. 517, euro 28) di Guido Samarani. L’autore, docente di Storia della Cina contemporanea a Ca’ Foscari, attraversa con profonda conoscenza dei fatti e dei protagonisti le vicende che dalle macerie di un impero sottomesso ai poteri coloniali hanno portato all’odierna potenza mondiale.

La prima parte del libro è dedicata alla storia repubblicana. Un periodo di rivolgimenti dominato dalla figura di Sun Yat-sen, statista e filosofo. La Cina si affaccia alla modernità politica in un mosaico di ideologie complesso. Alla tradizionale diade tra nazionalisti e comunisti, che a posteriori si è soliti applicare al periodo, si aggiungono pulsioni liberali, socialiste, anarchiche e tentativi più o meno riusciti di coniugare il rivolgimento politico alla cultura tradizionale. Signori della guerra e governi fantoccio contendono ai nazionalisti il predominio su un territorio immenso. È la guerra, per la Cina iniziata in anticipo con l’offensiva giapponese, a traghettare il Paese verso la forma a noi più familiare. Samarani illustra la nascita e il progressivo rafforzamento del Partito comunista. Per decenni, prima e dopo la presa del potere, il Pcc persegue una politica di cauto pragmatismo, rifiutando o rinunciando alle iniziative troppo avventate.

La linea realista viene abbandonata una prima volta con il Grande balzo in avanti, che pure pone le basi per una struttura industriale ancor oggi presente, e in modo eclatante con la Rivoluzione culturale. Anche di questa l’autore individua contraddizioni e linee di frattura: ad esempio nel maggiore radicalismo dei gruppi urbani, composti perlopiù dai figli della borghesia di partito, rispetto alle realtà contadine e operaie delle campagne. Aleggia sull’intero Paese il ruolo enigmatico di Mao Zedong, fulcro del partito e al contempo esterno ad esso, suo fustigatore e avanguardia. Una vicenda personale, quella del dittatore, che ne fa forse il più compiuto erede della parabola leniniana nella seconda metà del secolo.

Alla morte di Mao segue la svolta “a destra” di Deng Xiaoping, che pone sostanzialmente le basi per lo sviluppo impetuoso che ci riporta all’oggi, alla fotografia dei cinque uomini in completo nero e cravatta di fronte al quadro della Grande muraglia. L’idea di una politica di grande respiro e a lungo termine, con le sue terribili implicazioni in termini di diritti umani e per l’ambiente, è una sfida concettuale alla politica europea in crisi di legittimità. Una constatazione che in un recente convegno sulla Cina ha fatto affermare al teorico dell’autonomia del politico, Mario Tronti: «Ci deve essere, e non c’è, e bisognerebbe cercarla, una via di mezzo, una terza via, tra un disordine democratico e un ordine autocratico. È il grande tema di una democrazia decidente».

Pubblicato sul Il Piccolo il 7 dicembre 2017

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