Budapest entra all’ex Aquila per una sfida da 100 milioni
TRIESTE. Trieste prende il posto di Fiume nell’immaginario portuale magiaro. Budapest sceglie l’alto Adriatico italiano per un investimento che, tra acquisizione dell’area e successiva infrastrutturazione, supererà i 100 milioni di euro. Se tutte le pratiche amministrative saranno espletate in tempo debito, tra un paio di anni cominceranno i lavori dando precedenza alla parte burocraticamente più agevole, quella a terra.
Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, ha riepilogato gli elementi essenziali del cosiddetto “spa (sales and purchase) agreement” firmato ieri dall’esecutivo magiaro, da Teseco e Seastock, le imprese titolari delle aree ex Aquila a sud del Canale Navigabile, sulle quali un’azienda pubblica di Budapest realizzerà un terminal multipurpose. Con ogni probabilità non si tratterà di container, per i quali basta il Molo VII, e neanche di ro-ro.
L’area ha un’ampiezza complessiva di 32 ettari, 26 privati e 6 demaniali, dotata di un “affaccio” a mare lungo 300 metri. La concessione sui 6 ettari demaniali avrà la stessa durata di quella che ottenne Teseco, ovvero 60 anni: è la parte “a mare”, quindi fondamentale per realizzare la banchina.
Il traffico ungherese sul porto triestino - ha ricordato il ministro - è quantificabile in 2 milioni di tonnellate e in 70 mila teu. I caricatori magiari arrivano a Trieste in 24 ore: negli ultimi tre anni hanno potuto utilizzare fino a 14 coppie di treni/settimana.
Szijjaco - che nella mattinata di ieri, prima della firma nell’ex palazzo lloydiano, aveva fatto un sopralluogo all’ex Aquila a bordo di un mezzo della Guardia Costiera - lo ha detto esplicitamente: l’investimento triestino ricopre un’importanza strategica per l’export del suo paese. Il governatore Massimiliano Fedriga gli ha risposto che l’interesse è reciproco, perchè il Friuli Venezia Giulia è la piattaforma logistica dell’Europa centro-orientale e l’intesa con l’Ungheria ha una portata nazionale, non esclusivamente regionale.
Di «lavoro durissimo iniziato nell’autunno del 2017» per definire un documento di 50 pagine corredato di ulteriori 300 pagine di allegati, ha parlato il presidente dell’Autorità portuale, Zeno D’Agostino. Che ha puntualizzato tre punti chiave dell’accordo italo-ungherese: l’aspetto ambientale, la destinazione logistica, il punto franco. La questione ambientale non è di poco conto: sarà necessario eseguire un “barrieramento” a mare, ma sarà necessario ottenere specifica attenzione da parte delle autorità ministeriali romane. Gli ungheresi hanno ottenuto che le aree di loro pertinenza vengano “stralciate” dal Sito di interesse nazionale, così da ottenere un iter amministrativo più rapido.
L’evidenza sulla dimensione logistica dell’operazione sta a significare che i lavori a mare saranno strettamente connessi a quelli retroportuali di carattere ferroviario, che avranno nella stazione di Aquilinia un riferimento importante. D’Agostino ha ricordato il recente accordo con Rete ferroviaria Italia che finanzia interventi infrastrutturali per 70 milioni di euro. E ha sottolineato come Coselag (l’erede dell’Ezit) abbia a sua volta una rilevante dotazione ferroviaria. A Budapest, infine, interessa lavorare in punto franco: l’ex Aquila è una di quelle aree che era sta individuata per trasferirvi parte della dotazione di Porto vecchio.
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