Borsatti: «Quando i vigili misuravano gli slip»

Il noto fotografo triestino rievoca la Trieste degli anni ’40, quando lui era un giovane canottiere

TRIESTE Alti, robusti e di bell’aspetto, i canottieri della Ginnastica Triestina. Tra di loro c’è anche un giovanissimo Ugo Borsatti: «Quei pochi muscoli che ho messo su, li ho messi col canottaggio». Quando c’erano ancora i galleggianti della Ginnastica, dopo aver fatto una bella vogata, i canottieri non perdevano l’occasione per fare qualche tuffo nell’acqua della sacchetta, ma anche fuori al largo «stando attenti quando ci si buttava: due da una parte e tre dall’altra, se eravamo su una Iole a quattro». Erano gli anni ’40, gli anni della guerra, ma l’appuntamento con il mare era fisso. «Di solito si andava in bicicletta ed era già un bel lusso. Il ritrovo era alla seconda fontanella, all’altezza della Marinella: erano tre le fontanelle e servivano anche da doccia. In quella zona c’erano degli scogli molto praticabili, ma anche la sabbia; infatti, qualche volta, si raccoglievano i caperozzoli. Spesso frequentavamo il bagno Balilla, accanto alla trattoria allo Squero di Barcola, dove si pagava un abbonamento molto modesto per poter fare il bagno».

 

Ugo Borsatti e la foto al mare


Di pochi metri quadri, il “Balilla” però era un punto strategico per andare abusivamente allo stabilimento Excelsior: «Con una nuotata, oppure facendo una traversata, arrampicandosi sui muraglioni, che dividevano i due bagni e sorpassando dei fili spinati. Un giorno, in mare aperto, mentre stavo nuotando, ho visto una massa scura che mi attraversava: ho pensato che fosse un pescecane. Ho fatto una virata e ho battuto tutti i primati, saltando sul molo». Ma alla fine si trattava di un delfino.

I divertimenti al mare non erano certo quelli di oggi e il tempo scorreva in armonia tra la semplicità: «“Femo una dorada” (una nuotata sott’acqua, ndr) e si vedeva a quanti metri di profondità si arrivava».

Per andare in acqua, si usava il costume da bagno rigorosamente fatto in casa dalla mamma. Le ragazze indossavano quello intero, il bikini è arrivato più avanti, mentre i ragazzi uno slip formato da due triangolini cuciti ai fianchi con dei nastrini bianchi che si legavano, per tenerli su. «Erano molto stretti sui fianchi. Il Comune aveva emanato una disposizione che stabiliva l’altezza minima degli slip, che sui fianchi non dovevano essere inferiori ai cinque centimetri. I vigili passavano con il centimetro e se non rispettavi la regola, ti davano la multa». Siccome quasi tutti avevano degli slip magri sui fianchi, per non venir multati, l’ingegno faceva la sua parte: «Si era provveduto ad acquistare degli shorts che, quando si stava all’aperto, si mettevano sopra agli slip; poi, appena si andava in acqua, si toglievano e ci si buttava con gli slip normali».

Per superare la caldura delle giornate estive, un buon gelato sembrava essere la soluzione migliore: «Era quello dei carretti; i gusti erano crema e cioccolato, poi è arrivata la frutta. Di solito c’erano due dischetti di cialda rotondi e in mezzo veniva messo il gelato, una specie di biscotto; oppure c’erano quelli più grandi, di forma rettangolare». Più di una volta però ci si ritrovava a fare i conti con il portafoglio: «Il gelato più buono era sempre quello di Zampolli, in viale (ex Acquedotto, ndr); a seconda delle disponibilità finanziarie si spendevano venti, trenta o cinquanta centesimi. I coni non c’erano ancora, venivano messi due rettangoli di cialda uno accanto all’altro e poi si riempiva con la spatola. Prendendone uno da venti e uno da trenta, c’era più gelato che se ne prendevi uno da cinquanta e allora, quando eravamo “ricchi”, chiedevamo uno di venti e uno di trenta, per mangiare di più».

Quando calava il sole, saliva la voglia di ballare, ma i dancing erano proibiti in tempo di guerra. E allora cosa si faceva? «Si andava alla scuola di ballo Pertot in via Imbriani». Un’ottima copertura per infrangere le regole e divertirsi.

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