«Bombe contro lo Yemen nel porto di Trieste»

Esposto in Procura di sette pacifisti triestini della Rete nazionale per il Disarmo: «L’Italia è corresponsabile di esportazioni che violano il diritto umanitario»
La guerra nello Yemen in una foto di archivio
La guerra nello Yemen in una foto di archivio

TRIESTE L’intervento militare nello Yemen che sta causando una catastrofe umanitaria, con migliaia di morti e di feriti fra la popolazione civile, compresi un migliaio di bambini, passa anche per Trieste. Bombe, armi e munizioni, infatti, assicurano gli attivisti, sono state spedite nell’ultimo trimestre del 2015 anche dal Porto del capoluogo regionale. Un carico di armamenti del valore di quasi due milioni di euro, secondo i dati Istat sul commercio estero, è partito - come denunciano i pacifisti triestini - verso gli Emirati Arabi Uniti, Paese che fa parte della coalizione a guida saudita intervenuta nell’estremità meridionale della penisola araba senza il mandato delle Nazioni Unite. L’Italia si trova così coinvolta in un teatro di guerra. Una situazione questa - insistono gli attivisti - che va a violare la legge che vieta l’esportazione di armamenti verso paesi in conflitto armato e nei quali vengono compromessi i diritti umani. Per questo motivo, a Trieste come in altre cinque città italiane, è stata presentata una denuncia alla Procura per inosservanza della legge in questione, la 185/90.

Sette cittadini triestini, attivisti di diverse associazioni che si schierano apertamente contro la guerra, hanno sottoscritto l’esposto che a livello nazionale è stato predisposto dalla Rete italiana per il Disarmo, presentandosi alla Procura di Trieste. Luciano Ferluga, Bruna Tam, Alessandro Capuzzo, Fabio Feri, Silvia Di Fonzo, Giuliana Vlacci e Massimiliano Ferfoglia hanno voluto denunciare «il silenzio del governo Renzi a fronte di specifiche interrogazioni parlamentari che puntavano a fare luce sull’argomento». La legge 185, hanno spiegato, vieta espressamente non solo l’esportazione, ma anche il transito, il trasferimento e l’intermediazione di materiali di armamento verso i paesi in stato di conflitto armato, nonchè verso paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione, che prevede il ripudio della guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Lo stesso Parlamento europeo di recente, è stato ricordato, ha votato a favore di un embargo delle forniture d’armi all’Arabia Saudita, anche in considerazione della gravissima emergenza umanitaria yemenita determinata dai bombardamenti della coalizione. L’esposto alla magistratura è stato predisposto in particolare a seguito dei continui rifornimenti di bombe, partiti dagli scali marittimi della Sardegna, che sono andati a finire sui caccia della Royal Saudi Air Force. Nel documento presentato dai sottoscrittori vengono ricostruite sei spedizioni avvenute nell’arco di pochi mesi. Gli attivisti hanno formalizzato le denunce presso le procure di Trieste, Roma, Pisa, Verona, La Spezia e Brescia. Proprio nel comune lombardo ha sede la Rwm Italia Spa, società sussidiaria della multinazionale tedesca Rheinmetall, che negli impianti sardi del Sulcis produce i micidiali ordigni. «È inammissibile - sottolineano gli attivisti triestini - che dall’Italia continuino le spedizioni di bombe in aperta violazione del diritto internazionale umanitario, proprio mentre il nostro Paese sta per venire coinvolto in scenari di guerra quali la Libia e l’Iraq».

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