Biografia indiavolata di James Joyce “intimo” povero e ubriacone
L'irriverente linguaccia toscana che risuona nel “Gianni Schicchi” pucciniano si può ritrovare in “Joyce intimo spogliato in piazza

TRIESTE. L'irriverente linguaccia toscana che risuona nel “Gianni Schicchi” pucciniano si può ritrovare in “Joyce intimo spogliato in piazza. (Un'indiavolata caricatura dello scrittore irlandese)” pubblicato nel 1922 dal giornalista fiorentino Alessandro Francini Bruni. Si tratta del testo della conferenza/performance che Francini tenne nella Sala della Società Filarmonico-Drammatica la sera del 22 febbraio 1922. Il rapporto d'amicizia nato con l'arrivo di Joyce a Pola e proseguito a Trieste, gli fece ritenere che potesse lecitamente vivisezionare l'amico in pubblico, descrivendolo come l'aveva conosciuto: «un accattone», un alcolista votato all'«auto-devastazione fredda e premeditata», un miscredente, ma anche un genio che «puzza di signore distante un miglio anche quando puzza di zozza».
La conferenza fu seguita con disappunto da Stanislaus, il fratello di James che viveva a Trieste, e che ne odiò talmente il testo da auspicare la distruzione delle copie conservate alla Biblioteca Civica.
Per mettere l'amico a nudo, Francini colse l'occasione dell'uscita dell'”Ulisse”, pubblicato pochi giorni prima a Parigi. Infatti il suo “scombinato” amico era «sul limitare d'una celebrità scandalosa ed in fregola di far accapigliare la stampa e l'opinione pubblica di mezzo mondo».
Testo rarissimo, mai ripubblicato in Italia, “Joyce intimo spogliato in piazza” è un pamphlet di 41 pagine, originariamente stampato da “La editoriale libraria di Trieste”, che viene ora riproposto in edizione anastatica dalla casa editrice Arbor Librorum Edizioni di Francesco Cenetiempo che, per questa edizione a tiratura limitata, ha usato una copia dell'originale di proprietà di Erik Holmes Schneider, collezionista, studioso joyciano e autore del prezioso testo: “Il Re del Carnevale e il suo Giullare” (Arbor Librorum, Similia pagg. 30, euro 20,00).
“Joyce intimo spogliato in piazza” è un «testo che trasuda rancori e risentimenti, un livore mai espresso apertamente ma onnipresente che ostenta un godimento quasi sadomaso, come fosse l'opposto, il negativo sterile di quello stesso godimento verbale, gioioso ed esilarante che incontriamo in molte pagine di “Ulysses” e in quasi tutto “Finnegans Wake”», scrive Erik Schneider, che durante la prossima edizione della Trieste Joyce School (dal 26 giugno al 2 luglio) terrà un intervento proprio sull’importanza della riscoperta di questo pamphlet.
L'eloquio di Francini, infarcito di toscanismi e termini desueti, è tutto un divagare nell'intento di ricostruire ambienti e situazioni in cui visse con Joyce tra il 1904 e il 1920. Esemplare la descrizione - degna di una piece di Samuel Beckett - dell'arrivo di James e Nora a Pola: «Coperto di cenci come un mendicante, si trascinava con disinvoltura una catapulta che chiameremo valigia, una pellancica di lupo campatoio che ha perso il pelo e non il vizio di ridere a crepapelle della miseria del suo padrone e signore. Da ogni strappo pendeva un ciondolo che Joyce non s'incomodava di tirar su. (...) La signora Joyce, un po' in disparte, affogando tutta sotto una pamela virginale e dentro una palandra da uomo che le andava fin sopra il ginocchio, pareva un sacco di cenci in malora. (...) E quei due se ne rimanevano lì impassibili contegnosi come due principi del sangue».
Dopo pochi mesi da Pola vengono trasferiti entrambi alla sede della Berlitz di Trieste, che viene descritta come una «gabbia di matti» dove «non era facile dire chi fosse meno buffone: tutti vi si prestavano scelleratamente».
James Joyce, sempre in bolletta, viveva degli anticipi della “Berliz Cul”, come la chiama Francini Bruni, e quando arrivava il giorno di paga per il direttore «il suo conto era presto fatto e non c'era pericolo che sbagliasse il banco. Joyce s'era mangiato l'ovo in corpo alla gallina una settimana prima».
Alessandro Francini Bruni – scrive Schneider - condivise «con un Joyce giovane, povero e sconosciuto, casa, lavoro, migliaia di ore di conversazione e discussione, serate interminabili nelle trattorie, nelle bettole, nei caffè e nei teatri di Trieste». In quella Trieste “multitutto”, “affascinante, unica e dannata” i Joyce e i Francini vivevano alla giornata, come i protagonisti dell'opera “La Boheme” che Joyce vide proprio a Trieste per ben 8 volte in poche settimane. Un giorno Joyce si licenziò dalla “gabbia di matti” e iniziò a frequentare con più assiduità le osterie: «ora non aveva più voglia di ridere ma di bere” - scrive Francini - “pigliava sbornie da oliosanto. Sapeva a memoria tutte le bettole della città e le trovava benissimo anche a tasto». L'amico doveva anche adattarsi «a sentir sotto il naso il fiato vinoso di Joyce sberciare in coro con gli altri beoni, in chiave di violino: Ancora un litro di quel bon/che no go la ciave del porton!». Il problema era il ritorno a casa... «Vi assicuro che non c'era che un mezzo, fare come il Cireneo, aiutarlo a portar la croce, o forse anche peggio; caricarsi il morto sulle spalle come Giuseppe d'Arimatea e calarlo nel sepolcro. Ora – aggiunge Francini – per scusare l'amico mi è atroce ma doveroso dire che a questi atti di disperata incontinenza egli arrivava sempre nelle ore malinconiche delle sue traversie. (...) Si buttava allo sbaraglio quando il mondo era malvagio con lui».
Dopo pagine di aneddoti e apologhi joyciani Francini coglie infine l'essenza dell'enigma dello scrittore: «Joyce è tutta una disarmonia. La sua testa è un alveare d'idee asimmetriche e discontinue. E tuttavia c'è un ordine perfetto. Il caos se mai è nell'anima. Dovete prenderlo com'e». Schneider vede nell'esposizione di Joyce al pubblico ludibrio un'allusione al Gesù dileggiato dai soldati romani come il “Re dei Giudei”, ma anche al clown incoronato “Re del Carnevale” nel giorno di Martedì Grasso. Provengono forse della lettura di questo testo, a cui Joyce teneva molto, le allegorie di Re che popolano “Finnegans Wake”? Di certo Bloom era nato negli anni triestini e - riferendosi all'Ulysses - Francini annota: «qualche tipo di Trieste deve avergli offerto i tratti di più d'uno schizzo, e Trieste ha il suo battesimo in questo libro universale scritto nella lingua più universale».
“Joyce intimo spogliato in piazza” è un testo che a prima vista potrebbe sembrare repellente, impietoso e offensivo, ma che a una lettura più attenta rivela essere l'empatico ritratto di due eccentriche forme di fallimento.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
TRIESTE. L'irriverente linguaccia toscana che risuona nel “Gianni Schicchi” pucciniano si può ritrovare in “Joyce intimo spogliato in piazza. (Un'indiavolata caricatura dello scrittore irlandese)” pubblicato nel 1922 dal giornalista fiorentino Alessandro Francini Bruni. Si tratta del testo della conferenza/performance che Francini tenne nella Sala della Società Filarmonico-Drammatica la sera del 22 febbraio 1922. Il rapporto d'amicizia nato con l'arrivo di Joyce a Pola e proseguito a Trieste, gli fece ritenere che potesse lecitamente vivisezionare l'amico in pubblico, descrivendolo come l'aveva conosciuto: «un accattone», un alcolista votato all'«auto-devastazione fredda e premeditata», un miscredente, ma anche un genio che «puzza di signore distante un miglio anche quando puzza di zozza».
La conferenza fu seguita con disappunto da Stanislaus, il fratello di James che viveva a Trieste, e che ne odiò talmente il testo da auspicare la distruzione delle copie conservate alla Biblioteca Civica.
Per mettere l'amico a nudo, Francini colse l'occasione dell'uscita dell'”Ulisse”, pubblicato pochi giorni prima a Parigi. Infatti il suo “scombinato” amico era «sul limitare d'una celebrità scandalosa ed in fregola di far accapigliare la stampa e l'opinione pubblica di mezzo mondo».
Testo rarissimo, mai ripubblicato in Italia, “Joyce intimo spogliato in piazza” è un pamphlet di 41 pagine, originariamente stampato da “La editoriale libraria di Trieste”, che viene ora riproposto in edizione anastatica dalla casa editrice Arbor Librorum Edizioni di Francesco Cenetiempo che, per questa edizione a tiratura limitata, ha usato una copia dell'originale di proprietà di Erik Holmes Schneider, collezionista, studioso joyciano e autore del prezioso testo: “Il Re del Carnevale e il suo Giullare” (Arbor Librorum, Similia pagg. 30, euro 20,00).
“Joyce intimo spogliato in piazza” è un «testo che trasuda rancori e risentimenti, un livore mai espresso apertamente ma onnipresente che ostenta un godimento quasi sadomaso, come fosse l'opposto, il negativo sterile di quello stesso godimento verbale, gioioso ed esilarante che incontriamo in molte pagine di “Ulysses” e in quasi tutto “Finnegans Wake”», scrive Erik Schneider, che durante la prossima edizione della Trieste Joyce School (dal 26 giugno al 2 luglio) terrà un intervento proprio sull’importanza della riscoperta di questo pamphlet.
L'eloquio di Francini, infarcito di toscanismi e termini desueti, è tutto un divagare nell'intento di ricostruire ambienti e situazioni in cui visse con Joyce tra il 1904 e il 1920. Esemplare la descrizione - degna di una piece di Samuel Beckett - dell'arrivo di James e Nora a Pola: «Coperto di cenci come un mendicante, si trascinava con disinvoltura una catapulta che chiameremo valigia, una pellancica di lupo campatoio che ha perso il pelo e non il vizio di ridere a crepapelle della miseria del suo padrone e signore. Da ogni strappo pendeva un ciondolo che Joyce non s'incomodava di tirar su. (...) La signora Joyce, un po' in disparte, affogando tutta sotto una pamela virginale e dentro una palandra da uomo che le andava fin sopra il ginocchio, pareva un sacco di cenci in malora. (...) E quei due se ne rimanevano lì impassibili contegnosi come due principi del sangue».
Dopo pochi mesi da Pola vengono trasferiti entrambi alla sede della Berlitz di Trieste, che viene descritta come una «gabbia di matti» dove «non era facile dire chi fosse meno buffone: tutti vi si prestavano scelleratamente».
James Joyce, sempre in bolletta, viveva degli anticipi della “Berliz Cul”, come la chiama Francini Bruni, e quando arrivava il giorno di paga per il direttore «il suo conto era presto fatto e non c'era pericolo che sbagliasse il banco. Joyce s'era mangiato l'ovo in corpo alla gallina una settimana prima».
Alessandro Francini Bruni – scrive Schneider - condivise «con un Joyce giovane, povero e sconosciuto, casa, lavoro, migliaia di ore di conversazione e discussione, serate interminabili nelle trattorie, nelle bettole, nei caffè e nei teatri di Trieste». In quella Trieste “multitutto”, “affascinante, unica e dannata” i Joyce e i Francini vivevano alla giornata, come i protagonisti dell'opera “La Boheme” che Joyce vide proprio a Trieste per ben 8 volte in poche settimane. Un giorno Joyce si licenziò dalla “gabbia di matti” e iniziò a frequentare con più assiduità le osterie: «ora non aveva più voglia di ridere ma di bere” - scrive Francini - “pigliava sbornie da oliosanto. Sapeva a memoria tutte le bettole della città e le trovava benissimo anche a tasto». L'amico doveva anche adattarsi «a sentir sotto il naso il fiato vinoso di Joyce sberciare in coro con gli altri beoni, in chiave di violino: Ancora un litro di quel bon/che no go la ciave del porton!». Il problema era il ritorno a casa... «Vi assicuro che non c'era che un mezzo, fare come il Cireneo, aiutarlo a portar la croce, o forse anche peggio; caricarsi il morto sulle spalle come Giuseppe d'Arimatea e calarlo nel sepolcro. Ora – aggiunge Francini – per scusare l'amico mi è atroce ma doveroso dire che a questi atti di disperata incontinenza egli arrivava sempre nelle ore malinconiche delle sue traversie. (...) Si buttava allo sbaraglio quando il mondo era malvagio con lui».
Dopo pagine di aneddoti e apologhi joyciani Francini coglie infine l'essenza dell'enigma dello scrittore: «Joyce è tutta una disarmonia. La sua testa è un alveare d'idee asimmetriche e discontinue. E tuttavia c'è un ordine perfetto. Il caos se mai è nell'anima. Dovete prenderlo com'e». Schneider vede nell'esposizione di Joyce al pubblico ludibrio un'allusione al Gesù dileggiato dai soldati romani come il “Re dei Giudei”, ma anche al clown incoronato “Re del Carnevale” nel giorno di Martedì Grasso. Provengono forse della lettura di questo testo, a cui Joyce teneva molto, le allegorie di Re che popolano “Finnegans Wake”? Di certo Bloom era nato negli anni triestini e - riferendosi all'Ulysses - Francini annota: «qualche tipo di Trieste deve avergli offerto i tratti di più d'uno schizzo, e Trieste ha il suo battesimo in questo libro universale scritto nella lingua più universale».
“Joyce intimo spogliato in piazza” è un testo che a prima vista potrebbe sembrare repellente, impietoso e offensivo, ma che a una lettura più attenta rivela essere l'empatico ritratto di due eccentriche forme di fallimento.
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