Bar e negozi, 234 chiusure «Morti di fisco e burocrazia»
È una ecatombe di negozi, ristoranti e bar. In Italia, in Friuli Venezia Giulia, a Trieste, e in ciascuna delle altre province non c’è una sola voce di attività che abbia chiuso i primi quattro mesi del 2014 con un saldo positivo tra cessazioni e nuove aperture. A Trieste in questi quattro mesi hanno serrato bottega in 234, con un saldo negativo di 82 esercizi. A Udine è andata peggio perché il saldo è di “meno 308”. Provincia più estesa, ma il dinamismo dovrebbe essere proporzionale. Sono i dati diffusi dall’Osservatorio di Confesercenti che racconta cifre drammatiche: in tutta Italia da gennaio ad aprile hanno smesso l’attività 44.813 imprese di commercio e di turismo, compresi ristoranti e bar, edicole e distributori di carburante. Hanno aperto in sostituzione solo 28.016 attività, con un saldo dunque pesante, “meno 16.797”, che in Fvg si traduce in 1.304 chiusure con la perdita secca di 639 aziende.
Confesercenti indica la crisi come una mano nera che gioca al tiro al piattello, i caduti sul campo non sono solo gli attori economici ma anche la spesa delle famiglie, che (a dar per buoni questi calcoli) sarebbe crollata in Italia nel 2013 di oltre 57 miliardi di euro in confronto al 2008. Per rapportare la situazione triestina al resto del territorio basterà dire che su 120 chiusure di attività di commercio al dettaglio il 50% appartiene proprio al capoluogo regionale, che ha poi 55 chiusure nel settore alloggi e somministrazioni. E i ristoranti? In quattro mesi 24 chiusure e in effetti un “giro” piuttosto vorticoso con 23 inaugurazioni, perciò la perdita di settore si riduce a una unità. Anche fra i bar 24 chiusure, con turn-over più contenuto (se ne perdono 5). Soffre pure il commercio ambulante, 13 cessazioni e solo 4 nuove attività, e crollo delle edicole con i numeri peggiori in regione, a prescindere dall’ampiezza delle province: 10 chiusure, 2 sole aperture, saldo negativo di 8 (-5 a Udine, -2 a Pordenone, -1 a Gorizia).
Per il presidente regionale di Confesercenti Giuseppe Giovarruscio non è solo la crisi economica e dei consumi a fare strage di imprese, ma l’assetto complessivo del settore «gravato da una burocrazia asfissiante - afferma -, da una fiscalità pesantissima, e dal perdurare di roccaforti dei privilegi...». Quali, in un tempo di lacrime per tutti? «Per esempio - elenca il presidente di Confesercenti - abbiamo sempre ancora quattro Camere di commercio, e i Confidi su base provinciale, e sedi e spese quadruplicate mentre oggi la tecnologia ci aiuta nella semplificazione e centralizzazione delle operazioni. E invece no. Un’azienda deve ogni volta rifare tutte le registrazioni per il Comune, per la Camera di commercio, per l’Agenzia delle entrate. Un sito per ciascuno». Tempo e denaro perduti mentre ci sarebbe da sgambettare per tenere in piedi offerta commerciale e turistica.
Settore, il secondo, dove lo stesso Giovarruscio tira ancora oggi per la giacca Trieste. «Per dar successo a un’attività come questa non basta aprire l’albergo, serve una cultura di massa, alla quale i triestini non sono ancora abituati. Dovrebbero guardare a Rimini, che da tempo è una “macchina da guerra”. Occorre un lavoro comune, e per farlo bisogna avere un direttore, un’orchestra e gli strumenti. Ma noi a Trieste perdiamo molto tempo a cercare prima un direttore, poi un’orchestra e infine gli strumenti...». E il tempo vola, e i numeri diventano spine.
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